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Si riaccende l’eterna diatriba tra ambiente e industria

Sembrerebbe sulle prime una delle tipiche querelle che oppongono le istituzioni al mondo ambientalista. Invece dietro la vicenda della procedura d’infrazione che ha visto imputata l’Italia (e per essa, la Regione Puglia e il Comune di Foggia) per i danni patiti dalle steppe pedegarganiche “cementificate” dagli opifici del Contratto d’area di Manfredonia c’è tutto il dramma di una terra che non riesce a darsi una visione condivisa dello sviluppo.

Si tratta di una storia esemplare, che chiama in causa tante stagioni dello sviluppo industriale della Capitanata, e non a caso al centro c’è la città di Manfredonia, che ha vissuto sulla propria pelle, e spesso anche in modo drammatico, il dilemma tra lo sviluppo industriale e la vocazione turistica e naturalistica del suo territorio. All’origine della procedura d’infrazione delle norme comunitarie c’è la violazione delle direttive in materia di tutela e corretta gestione della Zona di Protezione Speciale (Zps) “Valloni e steppe pedegarganiche” che ricadono, tra l’altro, ai margini del Parco Nazionale del Gargano. L’area è stata diffusamente cementificata per consentire la costruzione degli stabilimenti e degli insediamenti produttivi che si sono localizzati all’interno del Contratto d’Area di Manfredonia.

L’aspetto paradossale della storia è che il Contratto d’Area era stato siglato per “risarcire” il territorio sipontino dal disimpegno dell’Enichem e dei guasti ambientali che aveva prodotto il petrolchimico. L’Italia era stata riconosciuta colpevole dell’infrazione contestata. Dopo la condannalo Stato e, di conseguenza, la Regione Puglia e il Comune di Manfredonia, avrebbero dovuto sanare la situazione attraverso azioni di riqualificazione e di ripristino ambientale.

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Pubblicato il 27 Luglio 2012

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