Cultura e Spettacoli

Umberto Giordano a Genova, quanti guai combina Fedora!

Eccellente pomeridiana al Carlo Felice di Genova con la “Fedora” di Umberto Giordano, lustro di Foggia. Gli studenti presenti in sala hanno ancor più accentuato il tenore dell’opera, fatta di tripudi, esaltazioni e cupezze. Il libretto di Arturo Colautti fu tratto dal dramma  di Victorien Sardou (lo stesso autore della “Tosca” di Puccini). Giordano aveva visto il dramma al Bellini di Napoli: ne fu folgorato e ne chiese i diritti per darne una versione musicale. Idea felicissima perché il testo di partenza presenta un abile amalgama di verismo e romanticismo, di passionalità e di temperie politica. Si parla di nichilisti, cioè di anarco-terroristi. Le morti che cospargono la trama,  quindi, hanno una matrice politica (complice la pasticciona Fedora). Anzi, la politica si mescola con le passioni individualistiche. Merito grande della regista Rosetta Cucchi è stato quello di assicurare all’insieme (coadiuvata dal direttore d’orchestra Valerio Galli) precisione, nettezza e limpidezza. Parte del merito va anche allo scenografo Tiziano Santi che ha frapposto tra noi e le vicende (sentimental-politiche) una graticciata metallica dietro la quale si dipanava l’opera divisa in tre movimenti, equivalenti alla tre città coinvolte: San Pietroburgo, Parigi e Berna. Le tre città (anche se Berna si riferisce più che alla città alle sue montagne) sono tre metronomi che segnano il pulsare degli eventi. Amori e veleni, trame ed equivoci sono avviluppati da una musica trascinante, post-romantica e fantasiosa, suadente e persuasiva. Il direttore è stato ben assistito dai secondi cantanti che si sono esibiti il martedì successivo alla prima di sabato. Ci riferiamo, ‘in primis’, a Irene Cerboncini (al posto di Daniela Dessì, il che è tutto dire), a Rubens Pelizzari, a Sergio Bologna e a Paola Santucci). Certamente la migliore delle tre ultime messinscene del teatro genovese, questa “Fedora” ben esibisce “la ricchezza melodica”, ha scritto Lorenzo Costa, “che permea” l’opera “dall’inizio alla fine e che testimonia il perdurare di una tradizione melodrammatica ancora viva” alla fine dell’Ottocento.

Gaetano D’Elia


Pubblicato il 26 Marzo 2015

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