Bacini d’acqua pugliesi, l’oro blu nel salvadanaio
Era nell’aria. Perdurando la siccità, l’AQP non poteva non prendere provvedimenti. Sicché da ieri la pressione dei rubinetti è ridotta. Non lamentiamocene. Per essere la nostra la regione più povera di corsi d’acqua è davvero tanto che si sia potuto tirare la corda sino a fine settembre. Nel Lazio, che di fiumi è ricco, stanno peggio di noi dalla fine di luglio. Tanto ‘miracolo’ non lo dobbiamo soltanto alla capillare distribuzione di uno degli acquedotti più lunghi del mondo, ma alla sagacia d’aver pensato a suo tempo ad elevare dighe con cui realizzare invasi. Sono gli invasi il salvadanaio della nostra acqua. Tre sono nel foggiano: il Torre Bianca (formato dalle acque del Celone), l’immenso lago di Occhito al confine fra Puglia e Molise (lo alimenta il Fortore) e, nei pressi di Cerignola, il Marana Capacciotti, dal nome dell’omonimo corso d’acqua. Altri tre invasi si aprono nell’entroterra barese: il Locone (nel territorio di Minervino Murge; riceve le acque del Locone), il Serra del Corvo (nei pressi di Gravina ; lo alimenta il Basentello), infine il Saglioccia, a poca distanza da Altamura. E’ però quest’ultimo un invaso rimasto asciutto : avrebbe dovuto ricevere l’acqua del Bradanello e del torrente che gli dà il nome. Ma quella diga, pur ultimata, non è mai entrata in funzione. Il caso Saglioccia apre il capitolo degli sprechi di denaro pubblico a proposito di dighe ed invasi. Se ci spostiamo nel tarantino troviamo un altro monumento alle opere incompiute : Nel territorio di Monteparara, ai confini dell’agro di Grottaglie, si allarga il bacino idrico Pappadai. Progettato per contenere 20 ml di metri cubi d’acqua, ne contiene meno del 20%, e di origine piovana. Si stima che dal 1984 ad oggi siano stati spesi 250 ml di euro per irrigare una vasta porzione di territorio del Salento e del tarantino. Ma quell’acqua, che doveva arrivare dal fiume Sinni in Lucania, non ha mai ‘invaso’ alcunché. Tra l’altro, senza manutenzione a causa del mancato utilizzo, le tubature (che si sospetta costruite in cemento e amianto…), le pompe e gli idranti sono ormai inutilizzabili. A completare il danno, la presenza nel Pappadai di rifiuti industriali e tossici, sfregio ambientale a cui non è estranea l’ecomafia locale. Tornando agli invasi che funzionano, resta da considerarne altri due, che si differenziano dalla tipologia sopra esposta perché ricavati non elevando dighe lungo fiumi e torrenti ma circoscrivendo con terrapieni l’acqua che prima fuoriusciva da alcune falde e che, quando ancora non ‘disciplinata’, dava vita ad aree paludose. I due invasi in questione si allargano alla periferia di Brindisi: Fiume Grande, che rientra nel perimetro del Parco Naturale Regionale Saline di Punta della Contessa, e Cillarese, inserito nell’omonima Oasi di protezione faunistica. Sia l’uno che l’altro sono pensati non a fini irrigui, a differenza degli altri invasi, ma per rifornire i grandi complessi industriali della zona. Resta da dire che la creazione di questi invasi, seppure abbastanza recente, ha dato vita in loco a sensibili e positivi mutamenti ambientali : fauna e flora tipiche della zona e prossime a sparire hanno ritrovato vigore. Per di più, uccelli e mammiferi in fuga da aree troppo antropizzate e falcidiate dai pesticidi hanno trovato qui rifugio. Siamo al punto che intorno agli invasi di Puglia è ormai facile individuare rapaci d’ogni genere e uccelli di palude, scoiattoli, martore, tassi, donnole, scoiattoli, testuggini…. Nell’acque degli invasi, poi, sono stati immesse tinche, carpe, trote. Bacini d’acqua preziosi una volta di più, ora che stanno evolvendo in oasi floro-faunistiche.
Italo Interesse
Pubblicato il 29 Settembre 2017