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Dopo una condanna che lo riguarda, l’ex governatore Vendola si scopre garantista

La recente sentenza di primo grado della Corte d’Assise di Taranto al processo “Ambiente svenduto” ha messo in agitazione il mondo politico pugliese che però sulla questione, con tutta la prudenza del caso (siamo soltanto ad una sentenza di primo grado che sarà sicuramente oggetto d’Appello!), ha comunque espresso alcune prime reazioni e sommarie valutazioni, legate ovviamente ai rispettivi punti di vista di coloro che li hanno formulati. Vediamo i principali. Il più significativo ed importante è stato sicuramente quello dell’ex governatore Nichi Vendola che in tale processo, da imputato, è stato condannato ad una pena detentiva di tre anni e mezzo, in quanto accusatodi concussione aggravata in concorso nel presunto disastro ambientale provocato dall’Ilva. Vendola – secondo l’accusa (ma tesi accolta evidentemente dai giudici di primo grado) – avrebbe esercitato pressioni sull’allora direttore generale di Arpa Puglia, Giorgio Assennato, per far “ammorbidire” la posizione dell’Agenzia per l’Ambiente nei confronti delle emissioni nocive prodotte dal siderurgico.Le stesse emissioni che la sua Giunta, dal 2005 al 2015, ha limitato con una serie di norme e monitoraggi sulla qualità dell’aria.Infatti, tra i provvedimenti fatti adottare dall’ex governatore pugliese c’è la legge regionale che fissò limiti molto restrittivi alla emissione di diossine e furani, prevedendo, in caso di inottemperanza, l’arresto dell’impianto. Limitazioni, queste, che – come si ricorderà – nel 2011 portarono i primi risultati con l’abbattimento delle emissioni di diossine e furani da circa 100 grammi/anno (2007) a circa 10 grammi anno (2011). Anche per quanto riguarda il benzoapirene una norma regionale fissò il valore di 1,0 nanogrammi (ng) per metro cubo d’aria quale limite da raggiungere nel più breve tempo possibile, e nel 2011 il livello medio annuale si attestava intorno a 1,18 ng/m3 contro gli oltre 3 ng per metro cubo del 2009. Inoltre, il Consiglio regionale, su iniziativa della Giunta, nel 2011 emanò una legge per la copertura dei parchi minerari e la riduzione della produzione di acciaio nelle giornate di ‘wind days’ per evitare la dispersione delle polveri. Mentre nel 2012 la Regione varò anche una legge che introduceva la Valutazione del danno sanitario (Vds). E, sempre sotto la guida di Vendola, la Puglia istituì anche il registro tumori.Motivi, questi, per cui ora Vendola si è ribellato “ad una giustizia che calpesta la verità”, definendoil pronunciamento della Corte d’Assise una “mostruosità giuridica” ed annunciando che appellerà tale sentenza che non dà a Taranto dei “colpevoli” ma solo “degli agnelli sacrificali”. Infatti, per Vendola la sua condanna e quella di “uno scienziato come Assennato”, ai quali sono stati inflitti due anni per favoreggiamento, “è una vergogna”. Il prof. Assennato (che per quanto lo riguarda ha rinunciato alla prescrizione) fu nominato da Vendola e poi confermato per altri cinque anni alla guida dell’Arpa ed ha sempre negato di aver ricevuto pressioni dall’ex presidente della Regione. Ma alla luce di queste dichiarazioni a fare più notizia non è tanto la condanna provvisoria di Vendola, che – come è noto – fino ad un’eventuale sentenza definitiva anche per lui vale il noto principio costituzionale di presunzione di innocenza, quanto il nuovo modo di porsi dell’ex governatore Vendola nei confronti del mondo giudiziari, a seguito della sentenza di primo grado che lo riguarda. Infatti, nel commentare la sentenza l’ex governatore e leader di Sel (Sinistra, ecologia e libertà) ha affermato: “Mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità”, perché “è come vivere in un mondo capovolto, dove chi ha operato per il bene di Taranto viene condannato senza l’ombra di una prova”. “Una mostruosità giuridica – ha incalzato Vendola – avallata da una giuria popolare colpisce noi, quelli che dai Riva non hanno preso mai un soldo, che hanno scoperchiato la fabbrica, che hanno imposto leggi all’avanguardia contro i veleni industriali. Appelleremo questa sentenza, anche perchè essa rappresenta l’ennesima prova di una giustizia profondamente malata”. Ed ancora l’ex governatore: “Sappiano i giudici che hanno commesso un grave delitto contro la verità e contro la storia. Hanno umiliato persone che hanno dedicato l’intera vita a battersi per la giustizia e la legalità. Hanno offerto a Taranto non dei colpevoli ma degli agnelli sacrificali: noi non fummo i complici dell’Ilva, fummo coloro che ruppero un lungo silenzio e una diffusa complicità con quella azienda”. Per poi aggiungere: “Ho taciuto per quasi 10 anni difendendomi solo nelle aule di giustizia, ora non starò più zitto. Questa condanna per me e per uno scienziato come Assennato è una vergogna” e concludere: “Io combatterò contro questa carneficina del diritto e della verità”. Insomma, forse la vera e più forte notizia del processo tarantino è che Vendola per la prima volta nella sua lunga storia da politico tenta di mettere sotto accusa la Giustizia, accusandola addirittura di essere “malata”. Come sono lontani i tempi di quando lo stesso Vendola, da esponente di Rifondazione comunista prima e da presidente della Commissione parlamentare antimafia dopo, plaudiva al solo tintinnar di manette delle Procure quando ad essere oggetto d’indagine i politici presunti corrotti di una certa parte politica, in particolar modo i socialisti del vecchio Psi o i democristiani, per i quali talvolta bastava un semplice avviso di garanzia per strillare allo scandalo e ad accuse di quasi conclamata colpevolezza. Molti di quegli indagati e presunti colpevoli – come la storia ci ricorda – sono poi stati assolti in via definitiva nelle aule di giustizia, ma difficilmente lo stesso Vendola si è poi ricordato di esultare con la stessa enfasi con cui a suo tempo aveva accolto la notizia della loro messa in stato d’accusa. Quindi, l’ex protagonista della Primavera pugliese ha esagerato allora nelle sue sortite contro i politici indagati e forse ha esagerato anche adesso contro un’azione giudiziaria che lo riguarda direttamente. Infatti, sarebbe forse bene ricordare che dalle accuse e dalle sentenze provvisorie non ci si difende con i proclami o nelle piazze, ma nelle Aule di Giustizia con gli strumenti che, in uno Stato democratico e di diritto, il sistema giudiziario stesso (a meno che non affetto da patologie!) mette a disposizione dei presunti colpevoli. Diversamente appare irrazionale e, quindi, scomposto il comportamento di chi, pur sempre da presunto innocente, rischierebbe di passare a possibile colpevole. Comunque, per Vendola, meglio tardi che mai aver scoperto il garantismo giudiziario ed il dubbio su una possibile giustizia “malata”. Tutt’altra reazione alla sentenza provvisoria di condanna quella del coimputato di Vendola, il prof. Giorgio Assennato, che nel commentare sulla sua pagina di Facebook il verdetto che lo riguarda, in modo certamente più pacato e razionale, ha scritto: “Non si vince la partita lasciando il campo. Parafrasando Boskov ‘Partita finisce quando arbitro fischia’. Siamo alla fine del primo tempo. Sotto 2-0 per due rigori inesistenti. Ma verrà la Remontada, e porterà Verità e Giustizia”.E ciò è sicuramente un esempio da seguire per chi non ha nulla da temere anche dopo una sentenza provvisoria e, soprattutto, ha fiducia nella Giustizia e nello Stato di diritto di cui è parte. Infatti, tra i primi a replicare a muso duro a Vendola, dopo la sua reazione alquanto scomposta contro i giudici tarantini, figurano i Verdi del capoluogo ionico che in una nota hanno concluso: “sentire che l’ex presidente della Regione Puglia definisce la giustizia ‘malata’ e che accusa i giudici di aver commesso un delitto, è un grave atto di delegittimazione della magistratura al pari di quello che fa la destra quando va sotto processo, come accaduto con Salvini”.Un commento meno personale, ma comunque pesante nei confronti di chi ha governato la Puglia in passato è quello rilasciato dalla consigliera regionale Antonella Laricchia del M5S, che in sintesi ha dichiarato: “per anni la politica ha girato la testa dall’altra parte di fronte a una fabbrica che avvelenava la città solo per fare profitto”. Sulla stessa lunghezza d’onda il commento alla sentenza dell’opposizione di centrodestra forzista in Puglia, che con il responsabile regionale del partito di Berlusconi, l’on. Mauro D’Attis, ha dichiarato: “Fermo il garantismo che contraddistingue da sempre Forza Italia, e fino al terzo grado di giudizio, non può non prendersi atto del fatto che la sentenza di primo grado del processo per l’ex Ilva offra alla pubblica opinione un quadro desolante sulla gestione, in quegli anni, della grande questione ambientale di Taranto”.Dichiarazioni pacate e prudenti nei confronti del recente verdetto di primo grado della Corte d’Assise ionica al processo “Ambiente svenduto” anche dal governatore pugliese, Michele Emiliano, che di Vendola – come è noto – è persona politicamente alleata, ma che comunque ha affermato: “La giustizia ha finalmente fatto il suo corso accertando che i cittadini di Taranto hanno dovuto subire danni gravissimi da parte della gestione Ilva facente capo alla famiglia Riva”. Anche se poi, sempre per obiettività, ha concluso rilevando: “Siamo consapevoli però che la Regione Puglia dal 2005 in poi è stata l’unica istituzione ad aver concretamente agito per fermare quella scellerata gestione della fabbrica, almeno fino a quando non è stata estromessa per legge da ogni possibilità di intervento sui controlli ambientali, con leggi nazionali che hanno fatto eccezione alle regole in vigore per il resto d’Italia”. In definitiva, l’ex governatore Vendola con questa sua vicenda si è scoperto sì garantista ma, con il modo in cui lo ha fatto, rischia un isolamento un eccesso di enfasi identico a quello usato nei toni quando garantista lo era molto meno.

 

Giuseppe Palella


Pubblicato il 1 Giugno 2021

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