Cultura e Spettacoli

Il senso e l’esistenza nel romanzo di Antonio Giardino

È difficile oggi trovare libri che in apertura non riportino l’introduzione di qualche illustre dotto, o presunto tale. Nell’accingerci a leggere il romanzo”Il beato Ludovico”, edizioni Bastogi, dello scrittore di Monte Sant’Angelo Antonio Giardino, la prima cosa che colpisce favorevolmente è proprio l’assenza di una introduzione. Un libro senza prefazione è come un aquilone senza filo, lasciato libero di volare al vento dei sentimenti di chi lo leggerà. (Inutile cercare la citazione in internet. Non c’è. È nostra). Ecco allora che ancor prima di leggere il libro di questo giovane autore, un primo applauso gli andrebbe tributato già solo per la scelta coraggiosa di lasciare l’opera svincolata da qualsiasi “filo”.

Molto spesso le prefazioni hanno un grande limite: s’incartano su se stesse. Più che introdurre realmente alla lettura e indicare la via più comoda per giungere alla profondità dell’opera, si aggrappano ad essa alla ricerca di un ragione di sublimazione propria.

A volte, insomma, più che l’apologia dell’opera e del suo autore, si perdono nel panegirico di se stesse ad esclusivo vantaggio della vanità di chi le scrive.

Alla prefazione allografa di qualche erudito locale, Antonio Giardino ha preferito affidare indizi sull’intimità del suo lavoro letterario, e sulle ragioni che lo sostengono, ad una bella, profonda e stuzzicante citazione tratta dall’opera “La violenza e il sacro” dello scrittore René Girard, famoso antropologo francese: “Ci pare assurdo attribuire al principio della vittima espiatoria la benché minima efficacia. Ma è sufficiente sostituire con violenza, nel senso definito nel presente saggio, il male o i peccati che tale vittima si ritiene debba assumere, per capire che si potrebbe, certo, aver sempre a che fare con un’illusione e una mistificazione, ma con l’illusione e la mistificazione più formidabili e più ricche di conseguenze di tutta l’avventura umana”.

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Pubblicato il 25 Luglio 2012

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