Targhe e cippi, la memoria non svanisca
Finire in carcere, al penitenziario, in galera, in gattabuia, ‘dentro’, ‘al fresco’… Nessun più finisce al Bagno Penale. Quest’ultima espressione deriva dalla conversione dei bagni pubblici di Costantinopoli in prigione avvenuta nel XVI secolo. In Italia i Bagni Penali furono regolamentati con un Regio Decreto del 1860. La denominazione venne soppressa con un altro Regio Decreto del 1890, ma la sostanza delle cose rimase inalterata, nel senso che questi istituti di pena continuarono a distinguersi per la severità del regime di reclusione (vi si moriva facilmente per stenti, carenze igieniche, denutrizione e maltrattamenti e ai morti era riservata l’inumazione senza lapide in un camposanto all’interno o nelle adiacenze del luogo di pena). I Bagni Penali italiani erano insediati in isole, sperdute e inospitali : Asinara, Pianosa, Portoferraio, Capraia, Lampedusa, Ustica e Tremiti. La destinazione carceraria dell’arcipelago pugliese – che aveva un precedente in epoca romana quando l’imperatore Augusto vi relegò la nipote Giulia – ebbe inizio nel 1783 per volontà di Ferdinando IV di Napoli. Nel 1911 furono confinati alle Tremiti circa milletrecenti libici che si erano opposti all’occupazione italiana. Durante il Ventennio l’isola di San Nicola e quella di San Domino ospitarono antifascisti, gay e testimoni di Geova. Nel 1980 l’ANPPIA (Associazione nazionale perseguitati politi e antifascisti) ha fatto erigere un cippo a memoria del sacrificio dei dissidenti politici. Una successiva targa ricorda l’ingiustizia patita da libici, gay e testimoni di Geova. Pochissime le testimonianze fotografiche di quei giorni. Per avere un’idea di quei luoghi di sofferenza restano le parole di chi vi passò o i dipinti dei pochi pittori che trattarono il tema. Nell’immagine, ‘Bagno Penale a Portoferraio’, olio su tela di Telemaco Signorini (1888-1894, 58×81, Firenze, Palazzo Pitti, Galleria d’Arte Moderna). Nell’opera il pittore fiorentino documenta la visita ufficiale di un qualche regio dignitario all’interno della prigione. Si vuole che nella figura del primo detenuto a destra Signorini abbia ritratto niente meno che Crocco, il celebre brigante lucano. Non si può escludere. A Portoferraio Crocco era una celebrità. Ciò a ragione della fama sinistra che aveva preceduto il suo arrivo in quel bagno penale e per la sua condotta di carcerato. Per 29 anni Crocco (che non fu mai liberato) mantenne sempre un atteggiamento calmo e disciplinato. Rispettato da tutti, non si unì mai a proteste e baruffe con altri carcerati, preferendo rimanere sempre in disparte, all’occorrenza prestando soccorso ai sofferenti. Venne anche visitato da personalità del mondo della scienza, come Pasquale Penta, criminologo di scuola lombrosiana, e il Prof. Salvatore Ottolenghi, primario della cattedra di Medicina Legale dell’Università di Pisa.
Italo Interesse
Pubblicato il 24 Maggio 2018