Storia e avvenire dell’Acquedotto Pugliese
La regione pugliese, sin dalle epoche più remote della sua storia, ha sofferto della scarsità delle acque indispensabili persino agli stessi usi domestici dei suoi abitanti. Nella maggior parte delle Puglie mancano del tutto, infatti, corsi d’acqua superficiali; le acque sotterranee appartengono o alla falda carsica e sono generalmente molto profonde, o a falde freatiche e sono scarse: le une e le altre, poi, non sempre rispondono ai requisiti igienici e non si possono perciò dire veramente e sempre potabili. Ma, poiché lo stesso difetto si riscontra anche nelle regioni contermini del versante meridionale adriatico, postosi il problema di fornire il prezioso elemento a una regione con una popolazione superiore già nel 1861 ai 2 milioni di abitanti, si fu costretti a cercare nel versante tirrenico dell’Appennino sorgenti che potessero dare alle Puglie acque buone e abbondanti. L’idea di utilizzare le acque del Sele, balenata sin dal 1868 all’Ing. Camillo Rosalba, fu ripresa alla fine del sec. XIX e, caldeggiata dalla fede di pochi – primo fra essi l’On. le Matteo Luigi Imbriani – divenne una realtà; i lavori dell’acquedotto che doveva portare nelle Puglie le acque del Sele e che si disse perciò “Acquedotto Pugliese” furono iniziati nel 1906. 33 anni dopo, il 28 ottobre 1939, la grandiosa opera ebbe compimento e le acque del lontano Sele si riversano oggi con una cascata di scarico terminale, a S. Maria di Leuca, nell’azzurro Jonio. Usufruirono così del beneficio dell’acqua potabile tutti i Comuni delle 5 Province pugliesi di Foggia, Bari, Brindisi, Lecce e Taranto e anche molti Comuni appartenenti alle Province contermini di Avellino, Campobasso, Matera e Potenza. L’Acquedotto Pugliese è costituito da un sistema di canali in muratura e di condutture metalliche e in cemento armato, le quali, partendo da un’arteria principale e suddividendosi in rami sempre minori, coprono con una fitta rete la regione pugliese. Esso si alimenta con le acque del fiume Sele, che scaturiscono, alla quota di m. 420, nel Comune di Caposele (Avellino), da una grande parete rocciosa calcarea sul fianco orientale del Monte Paflagone, contrafforte del Cervialto, nell’Appennino Irpino. I lavori di allacciamento eseguiti alle sorgenti sono consistiti in un canale collettore, quasi nel mezzo del bacino naturale di raccolta, al quale fanno capo dei canali secondari o cunicoli di presa. Al canale collettore fanno seguito un canale di arrivo, una camera di raccolta e camere di manovra e di misura che precedono l’incile dal quale ha inizio l’acquedotto. La portata media delle sorgenti è di mc. 4 al secondo, la temperatura non supera i 9° C. Da Caposele ha inizio il canale principale, l’arteria maggiore del sistema di canalizzazioni, cui si innestano le diramazioni primarie e alcune delle secondarie. Esso attraversa, in gran parte in galleria, l’Appennino, taglia da Venosa a Spinazzola la fossa premurgiana che divide la regione pugliese dalla lucana, attraversa, pure in galleria, le Murge e, seguendo tutto il rilievo murgiano a mezza costa del versante adriatico, finisce sull’alto dell’istmo salentino a Villa Castelli, fra Taranto e Brindisi. Nel canale principale l’acqua scorre liberamente a pressione naturale, avendo esso una pendenza variabile dallo 0,25 allo 0,40 x 1.000. Le dimensioni delle sezioni del condotto variano nei diversi tronchi, poiché di mano in mano che se ne staccano le diramazioni, diminuisce la portata e con essa l’ampiezza della sezione; nella tratta di maggiore portata la sezione ha un’altezza di m. 2,90 e una larghezza di m. 2,70, mentre in quella di minor portata l’altezza è di m. 2,12 e la larghezza di m. 1,50. Le sezioni hanno sagoma ovoidale per le tratte ricadenti in terreni argillosi e sagoma circolare in terreni esercitanti fortissime pressioni; hanno forma di un rettangolo sormontato da semicerchio per le tratte in terreni stabili. Il canale principale, oltre che da gallerie, è costituito da tratti in trincea o in rilevato, uniti fra loro, ove è necessario superare gli avvallamenti, da ponti-canali e da sifoni. La sua lunghezza complessiva è di km. 244. Il canale principale, capace di una portata iniziale di l. 6.340 al secondo, comprende 99 gallerie per km. 109, trincee e rilevati per km. 121, 91 ponti-canali per km. 6,8 e 6 sifoni per km. 7,2. L’Acquedotto Pugliese imbocca, subito dopo Caposele, la grande galleria appenninica (Pavoncelli), lunga m. 15.252, che unisce la valle del Sele con quella dell’Ofanto, prosegue mantenendosi sempre a destra dell’Ofanto, attraversa altre gallerie minori come quelle di Mésole Ciccolungo (m. 2.199) e S. Maria dei Santi (m. 2.267), raccordate da piccole tratte in trincea e da ponti-canali in cemento armato. Fa seguito la galleria di Toppo Pescione (Zimpari, m. 5.508), dopo di che il canale continua, parte in galleria, parte in trincea, passando su grandi ponti i torrenti Bradano (m. 210, con 14 arcate) e Vanchia (m. 148, con 10 arcate) e la fiumara di Atella (m. 417, con 20 arcate), Quindi, lasciando a sinistra il Vulture, esso si inoltra nella galleria di Croce del Monaco (Balenano, m. 7.362) e , subito dopo in quella della Ginestra (m. 8.564), che termina presso Venosa. Quivi si diparte la diramazione primaria, a pelo libero, per la provincia di Foggia, della lunghezza di km. 46. Presso la presa si trovano 2 ponti a sostegno delle tubazioni dei sifoni nella valle dell’Ofanto e nella fiumara di Venosa, il primo a 7 luci con arcate di m. 20, il secondo a travata rettilinea. Su questa diramazione primaria s’innestano a Torre Alemanno la diramazione per Cerignola e fino a Margherita di Savoia e a Posta S. Lucia quella per Foggia, Manfredonia e gli abitati del Gargano meridionale, alimentati da un impianto di sollevamento con prevalenza geodetica di m. 840 tra Manfredonia e Monte S. Angelo. La diramazione primaria prosegue, dopo aver servito Lucera e i Comuni del Subappennino, fino al serbatoio del Besanese (Apricena) che serve i Comuni della parte settentrionale della Capitanata e del versante settentrionale del Gargano fino a Vieste. Dal Besanese parte una diramazione che alimenta 6 Comuni del circondario di Larino (Molise). Oltre Venosa, il canale principale prosegue in trincea con interposti sifoni, fra i quali quelli di Calcarai (lungo m. 422), del Locone (m. 1.070), e il più grande di Palazzo S. Gervasio, della lunghezza di m. 4.339, a doppia tubazione in cemento armato. Qui l’Acquedotto, dopo un percorso di km. 74,3 in Campania e Basilicata, entra nella regione pugliese; presso Spinazzola ha principio la diramazione per Minervino Murge e Canosa di Puglia. Dopo una serie di gallerie di varia lunghezza e di piccole tratte in trincea, ha inizio la grande galleria delle Murge (Imbriani), lunga m. 16.017, il cui sbocco è il cuore dell’attuale Provincia di Barletta-Andria-Trani, a nord di Castel del Monte. Da qui il canale principale prosegue in trincea fiancheggiando le Murge in tutta la loro lunghezza e, per Cassano delle Murge, Gioia del Colle, Noci, Alberobello e Locorotondo, finisce a Villa Castelli. In questo tratto partono numerose diramazioni verso l’Adriatico, per alimentare le città litoranee da Barletta a Brindisi, e verso lo Jonio, per servire la parte occidentale della Provincia di Taranto. Un’importante diramazione ascendente è quella che prima di Cassano delle Murge con impianto elevatore porta l’acqua al grande serbatoio di Murgia Sgòlgore, da cui sono alimentate Santeramo, Altamura, Gravina di Puglia e Matera. Da Villa Castelli, ove in contrada Battaglia esiste un impianto di sollevamento di circa 3.ooo HP generati da un salto motore dello stesso Acquedotto, hanno inizio la diramazione per Taranto e il grande sifone del Salento, lungo km. 125, che alla masseria S. Paolo a oriente di Manduria si biforca in due rami, uno per Lecce, Otranto e i paesi del versante adriatico, l’altro per Nardò e i Comuni dello Jonio fino all’estrema punta del Salento. Dal cabale principale e dalle diramazioni si riforniscono, in condotta forzata, 170 serbatoi, costruiti nelle vicinanze dei centri abitati: essi hanno una capacità complessiva di 429.000 metri cubi d’acqua e qualcuno ne contiene fino a 22.ooo; da questi serbatoi partono le reti urbane di distribuzione d’acqua in pressione ai centri, con uno sviluppo complessivo, nel 1940, di oltre km. 1,300 di condutture. Numerose altre opere corredano e completano il sistema di canalizzazione. Lungo il percorso del canale principale sono disposti edifici per lo scarico delle acque, sicché è possibile mettere all’asciutto ogni tratta di canale compresa fra due scarichi successivi; frequenti pozzetti d’accesso permettono le visite all’interno del canale; case cantoniere sono costruite lungo il canale per l’alloggio di guardiani; sulla zona del canale o in vicinanza corre una strada mai larga meno di m. 4; una linea telefonica segue il canale e le diramazioni per tutta la loro lunghezza. Vari salti motori interrompono il canale e alcune diramazioni, dando energia per la potenza nominale complessiva di HP 8.700, di cui 8.000 servono già per il sollevamento dell’acqua ad abitati posti più in alto della linea di carico delle condotte. Nel bacino sorgentifero del Sele, infine, sono stati compiuti importanti lavori di sistemazione montana e di rimboschimento, al fine di proteggere l’area alimentatrice del fiume e meglio garantire le sorgenti di Caposele. L’Acquedotto Pugliese fornisce l’acqua potabile a 315 abitati, appartenenti a 10 Province. Ma oltre che per uso potabile, l’acqua è concessa alle amministrazioni ferroviarie, a stabilimenti pubblici e opifici industriali, etc., nonché ad aziende agricole e masserie e ca coloniche sparse per le campagne, compatibilmente con gli scopi predetti. I compiti di gestione, completamento e salvaguardia dell’opera furono affidati all’Ente Autonomo per l’Acquedotto Pugliese. L’art. 117, della Costituzione della Repubblica Italiana, così come formulato dall’Assemblea Costituente e poi sostituito dall’art. 4 della Lg. Cost. 18.10,2001 n° 3, sembrò affidare alla Regione Puglia la potestà legislativa e regolamentare ‘ in subiecta materia ‘, ma ciò non fece che sorgere discussioni e contrasti con le cointeressate Regioni campana, lucana molisana, non ancora sopiti. Inoltre si cominciò pure a polemizzare se si trattasse nella specie di potestà esclusive dello Stato o della Regione o Regioni o di potestà concorrenti. Tutto ciò non poteva che recar solo danni all’Ente ed offuscare la fama di una ingerente ed esemplare opera, che aveva persino ispirata servita da modello da imitare alla rooseveltiana TVA. Oggi se ne prospetta da alcuni la privatizzazione e sarebbe danno di gran lunga maggiore. Insorgano, a impedirlo, per non esserne espropriati, concordi questa volta i Campani, i Lucani, i Molisani e, primi fra tutti, i Pugliesi, che ebbero nei loro Matteo Luigi Imbriani il promotore e in Gaetano Postiglione il realizzatore di sì grande impresa.
Emilio Benvenuto
Pubblicato il 10 Marzo 2016