Cultura e Spettacoli

“Pentateuco Troiano”

Inguaribilmente legato alla sua Troia e alle radici. Antonio Gelormini, giornalista, esperto in arte, cultura e turismo, editorialista, scrittore e caporedattore della sezione pugliese del noto sito Affari Italiani ha dedicato alla sua Troia un bel volume dal titolo “Pentateuco Troiano”, una chicca da non perdere. Volume di rara raffinatezza culturale. Lo abbiamo intervistato.

Gelormini, perché ha scelto questo titolo, che ricorda i primi cinque libri dell’Antico Testamento?

“Perché la narrazione biblica tra Antico e Nuovo Testamento sulle facciate delle Cattedrali è qualcosa di estremamente affascinante. Su quella della Concattedrale della Diocesi di Lucera-Troia, poi, essa si svolge come una vera e propria sinfonia.

Per cui ho deciso di prendere 5 particolari, per sviluppare un racconto storico, che si dipana lungo l’abbinamento ideale a ciascuno di quei primi cinque libri dell’Antico Testamento: a Genesi – il Portale bronzeo di Oderisio da Benevento; a Esodo – il Bassorilievo dell’Ambone al centro di una secolare disputa teologica, segnata dall’intervento rivoluzionario di Benedetto XVI; a Levitico – la Navata e le sue 12 colonne di cui una doppia; a Numeri – il Rosone, testimonianza di artigianalità araba ispirata da dettami di radice ebraica; e infine a Deuteronomio – l’affresco tardogotico della ‘Dormitio Virginis’con ‘la mandorla più dolce di Puglia’.

 

Cinque rotoli ideali da srotolare con amore e con rispetto, una sorta di locale Torah, per dar vita al ‘Pentateuco Troiano’”.

 

Che cosa ha di particolare la Cattedrale di Troia?

“E’ la libreria delle librerie al centro di una Biblioteca a cielo aperto. Un presidio e una testimonianza biblico-teologica costruita direttamente sulla via Traiana, che vide innestarsi il tratto meridiano della via Francigena. Un sollievo e al tempo stesso uno stimolo ai pellegrini che, facendo tappa nella cittadina dauna, vi ci si sdraiavano di fonte per riposarsi.

 

Il concentrato di un’eredità “meticcia”, tra millenni di storia, secoli di tradizione e una tempesta di emozioni senza tempo, che sollevano lo spirito dell’osservatore, trasmettendo quel senso di serenità e di piacere: tipico della bellezza più elegante e dei più alti sentimenti di ammirazione. Ovvero della piacevole suggestione della meraviglia”.

 

Parliamo del Rosone…

“Un vero e proprio sigillo di Pace. Raffinata testimonianza d’artigianalità moresca, ispirato a dettami dell’Antico Testamento – quindi di radice ebraica – incastonato nella facciata romanico-gotica di una chiesa cristiana (presumibilmente nel 1266, quando con la morte di Manfredi a Benevento, si chiude un ciclo per la storia del Sud). Un messaggio ecumenico letteralmente a 360 gradi.

 

Unico ad essere diviso in 11 petali (di cui uno doppio), sottolinea l’esortazione alla ripresa di un nuovo cammino: così come dopo aver usato le dieci cifre a noi conosciute (da 0 a 9), con l’11 si ricomincia a contare, e si dà il via a un nuovo inizio.

 

Lo annunciava ai pellegrini – rapiti in ammirazione – in sosta lungo la via Francigena, verso Gerusalemme, ma anche alle generazioni future: chiudendo l’epoca normanno-sveva e aprendosi all’arrivo degli angioini. Archiviando il romanico e rilanciando lo stile gotico, che favoriva l’invasione di luce naturale nelle penombre, fino ad allora affumicate, delle liturgie tradizionali.

 

E nella sua tradizionale funzione cronocratica, così come nella testimonianza ‘ecumenica’ dei suoi sincretismi, da secoli continua a trasmettere il medesimo messaggio: “La ricchezza è nella diversità”.

 

Sono tante le sorprese racchiuse nelle sue intercapedini calcaree, nella sua armonica asimmetria e nella simbologia ad esso affidata. Una curiosità tra tante: i principi che ne ispirarono le linee architettoniche sono i medesimi alla base della costruzione metrica della Divina Commedia, tutta centrata sull’utilizzo dell’endecasillabo: un verso formato da 11 sillabe”.

 

Qual è il rapporto tra Cattedrale e territorio troiano?

“Sin dalla sua costruzione quello di rappresentare, anche fisicamente, la centralità della sua diocesi nel processo di ridefinizione delle sedi episcopali meridionali, con una posizione fortemente strategica e particolarmente proficua per la sua crescita culturale.

 

Una guida costantemente influente dell’episcopato locale, che determinerà piega degli eventi e crescita della funzione politica della “Civitas troiana”, anche dopo il dominio bizantino, avversando prima i Normanni e Roberto il Guiscardo, per poi diventarne fedele alleata e sede di un imponente Castello; vedendo indetti e organizzati tra le sue mura ben quattro “Concili sinodali”, tutti presieduti personalmente dal Papa (Urbano II nel 1093, Pasquale II nel 1115, Callisto II nel 1120, Onorio II nel 1127).

 

Artefice di questo periodo così carico di eventi significativi, fu il vescovo Guglielmo II, un raffinato intellettuale, la cui mitria toccava i vertici romani. Guglielmo II fu per Troia quello che l’Abate Elia rappresentò per Bari

 

Nei secoli seguenti la storia della città continuerà ad essere ‘annotata’, in forme più o meno immediatamente leggibili, su questo suggestivo scrigno di identità senza tempo. Sul bronzo dei portali, nelle epigrafi scolpite sulla pietra e nella stessa evoluzione delle sue linee architettoniche. E che oggi potrebbe ritrovarsi al centro di un moderno e metaforico percorso millenario che, in un ideale Percorso di Luce, lungo la rotta che tiene insieme: Troyes in Francia, Troia in Puglia e Truva in Asia Minore, possa dar vita al Cammino dei Troiani, perché oggi più ieri: “Il futuro è nelle radici!”

Bruno Volpe

 

 

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Pubblicato il 14 Maggio 2021

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