Cultura e Spettacoli

Oasi etniche e linguistiche nelle Puglie

Anche nelle Puglie vivono resti di colonie forestiere, oasi etniche e linguistiche, che lottano per non sparire, per non essere fatalmente assorbite dall’elemento italiano che le attornia e le stringe, anche se in verità più non le incalza,  da ogni lato. A Celle di S.Vito e Faeto, in provincia di Foggia, si parla tuttora un dialetto di autentico tipo franco-provenzale, pur se profondamente intaccato dalla parlata locale (pugliese settentrionale, foggiano). Esso proviene dai nuclei franco-provenzali formatisi in Capitanata sotto i primi Angioini. Tracce di stanziamenti identici si trovavano nel 1940 tutt’attorno: ad Ariano Irpino, Castelluccio V. Maggiore, Montaguto,  Monteleone di Puglia, S. Bartolomeo in Galdo e Volturara Appula. Comuni di lingua albanese si trovano nella parte settentrionale della Capitanata (Chieuti) e nei Monti della Daunia (Casalvecchio di Puglia), mentre resti di colonie albanesi si riscontrano in provincia di Taranto, oltre che a S. Marzano, nei Comuni di Faggiano, Monteparano, Roccaforzata e S. Giorgio Ionico. Si parla greco nella Terra d’Otranto, in un’oasi compatta a sud-est di Lecce, la cosiddetta Greca Salentina, oggi ridotta a sole otto cittadine, da una ventina che erano nei ss. XIV-XV:  Calimera, Castrignano, Corigliano, Martano, Martignano, Soleto, Sternatìa e Zollino. Si pensò che questi Greci, come quelli della regione calabra, fossero i discendenti di qualcuna delle torme di infelici che, durante le feroci guerre di Roberto il Guiscardo e suo figlio Boemondo contro Alessio Comneno nella penisola greca (1077-85) furono deportati in Italia; accresciuti poi da profughi delle colonie romaiche della vicina Sicilia, oppresse e disperse dai Normanni, lo furono ancor più negli ultimi anni di Ruggiero II dopo la sua corsa vittoriosa attraverso la Morea (1147).  Da altri si opinò che fossero invece i discendenti di colonie stabilitesi tra la metà del sec. IX e la fine del X, quando la dominazione bizantina fu consolidata da Basilio I. Oggi si discute, con alterna fortuna, se si tratti di reliquie italiote dell’evo antico o di un rifiorimento greco medioevale. La tesi che queste colonie siano la diretta continuazione delle antiche colonie che popolarono la Magna Grecia è contrastata dal richiamo che i suoi avversari fanno alla toponomastica del Salento, ove dei nomi locali  uno solo, oltre Taranto, risale all’età greca antica: Gallipoli, l’emporio greco dirimpettaio della messapica Anxa. Gli altri sono prevalentemente messapici o  latini. Nelle stesse colonie greche salentine la sola Calimera ha nome palesemente greco ed è proprio quella di cui si sa con sicurezza che fu fondata nell’età di mezzo. E’ di essa e della stele ateniese, che ne adorna i Giardini Pubblici che vogliamo parlare, per il riferimento che la sua vicenda fa alla nostra Foggia. Questa stele è stata generosamente donata a Calimera da Atene. E’ di puro marmo attico e proviene dal Museo Nazionale della capitale greca. Reca incise le parole “Patroclia di Proclide di Atmon”, località presso Maroussi, nei sobborghi di Atene, dove venne rinvenuta. Il bassorilievo ne rappresenta il saluto. Sormontata da una palmetta e ornata di fiori simboleggianti la serenità dell’animo rassegnato alla morte, è opera del sec. IV a.C., di fattura perfetta. E’ uno dei migliori esemplari di monumenti funebri conosciuti; per la sua classica armonia incanta chi la guarda, anche se il bassorilievo centrale è un po’ corroso dal tempo e il fusto, rotto trasversalmente, è saldato al centro. E’ degnamente sistemata nei Giardini Pubblici di Calmiera, in un’edicola progettata dallo scultore Alfredo Calabrese e realizzata in pietra viva di Soleto dal Manca. Riassumiamo le vicende che portarono a quel prezioso e insolito dono, basandoci sui documenti che vi si riferiscono e ai ricordi personali di Giannino Aprile, che negli anni 1956-60 era Sindaco di Calmiera. Una particolareggiata narrazione di tali vicende si trova presso il Municipio di Calmiera, dove, sollecitato dal Giudice Costituzionale Pantaleo Gabrieli, l’Aprile depositò una sua relazione in merito. Nel novembre del 1957 l’Aprile indirizzò al Sindaco di Atene una lettera, con la quale chiedeva un qualsiasi avanzo architettonico o, almeno, un sasso dell’Acropoli, come simbolo della comune origine ellenica e d’un’ideale continuità di rapporti amicali. Non ebbe sollecita risposta, ma ebbe notizia dal Prof. Kalònaros che la sua lettera era stata pubblicata dai quotidiani ateniesi. Fu però l’incontro che a   F o g g i a  l’Aprile ebbe con un diplomatico greco, il Dr, G. Skouses, addetto culturale dell’Ambasciata di Grecia a Roma a permettere che la prendesse, con felice esito, un sollecito iter burocratico, portando alla rapida consegna del simbolico dono della Stele di Patroclia, davvero superiore a ogni aspettativa. La stele fu dall’Aprile prelevata alla Dogana di Brindisi e il suo arrivo a Calmiera destò interesse, entusiasmo e commozione. Nella  Sala Consiliare del Comune, dove venne depositata, cominciò un viavai di concittadini, forestieri e studiosi salentini e, logicamente, foggiani, espressamente invitati. Una docente di storia dell’arte di un istituto religioso leccese, nel toccare timidamente quel marmo, non riuscì a trattenere, copiose, le lacrime. Tutta la stampa nazionale, regionale e locale diede notizia dell’avvenimento. Nicola Vacca ne scrisse, in terza pagina, su “La Gazzetta del Mezzogiorno”. Brizio Montanari compose una bella poesia sulla stele e Pippi Lefons compose toccanti versi grecanici. Nelle due liriche comune fu l’affermazione che la stele non si sarebbe sentita straniera a Calmiera, sentimento tanto sentito da essere trascritto nell’epigrafe nell’edicola con tenitrice, del Calabrese.

Emilio Benvenuto

 


Pubblicato il 23 Marzo 2016

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