La Corte Costituzionale boccia una parte della “buona scuola”
Accolti alcuni dei ricorsi mossi dalle regioni Veneto e Puglia sulla “buona scuola”, ossia su alcuni punti della riforma sulla scuola portata avanti dall’ex governo Renzi e concretizzatasi con la Legge numero 107 del luglio 2015. Infatti, la Corte Costituzionale recentemente ha dichiarato “incostituzionali” alcuni aspetti della riforma della scuola approvata nel mese di luglio del 2015 su volere del precedente governo ed in particolare quelli relativi ai nidi e scuola dell’infanzia, e all’edilizia scolastica. A darne notizia in anteprima, ma anche in anticipo rispetto alla Regione Puglia, è stato l’assessore regionale alla Pubblica Istruzione del Veneto, Elena Donazzan, dopo che la Corte ha pubblicato le sentenze relative ad alcuni ricorsi in merito presentati dalla Regione Veneto, assieme alla Puglia. “Non é una vittoria formale” ha esclamato Donazzan dopo aver dato la notizia, aggiungendo: “ma la sentenza con la quale i giudici della Corte Costituzionale accolgono alcuni dei ricorsi mossi dalle regioni Veneto e Puglia sulla ‘buona scuola’ segna un punto importante a nostro favore e rappresenta un nuovo affondo contro il dirigismo centralistico”. Del ventaglio di “doglianze” mosse dalle due regioni contro la cosiddetta “buona scuola”, i giudici della Consulta (con sentenza 284 del 2016 redatta da Giuliano Amato) hanno dato accoglienza solo alla richiesta di coinvolgimento regionale nella gestione delle risorse per la costruzione e manutenzione degli edifici scolastici e hanno chiarito che, in materia di nidi e di scuole dell’infanzia, “spetta alla potestà legislativa delle Regioni l’assetto organizzativo”, nonché la “determinazione degli standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei servizi educativi per l’infanzia”. Infatti, ha poi commentato l’assessore regionale della giunta Zaia all’Istruzione, “Anche se i giudici costituzionali non hanno accolto tutti i motivi di impugnativa proposti dal Veneto, in particolare la nostra richiesta di avere la titolarità dell’offerta formativa e dell’organizzazione dei percorsi di formazione professionale, la sentenza di fine anno (ndr – della Corte) boccia l’impostazione dirigistica del governo che avrebbe voluto, con una legge delega, determinare anche organizzazione, standard e programmi dei nidi e delle scuole materna”. E questo – ha proseguito Donazzan – “Per il Veneto, regione nella quale due bambini su tre frequentano le scuole paritarie dell’infanzia e dove l’Amministrazione regionale ha sempre tutelato e difeso il pluralismo scolastico, una norma di questo tipo avrebbe rappresentato una inaccettabile e invasione di campo”. Poi, ha inoltre commentato l’assessore della Regione Veneto, “Alla stessa stregua difendo, e ringrazio la Corte per la sentenza, il diritto della Regione e degli Enti locali di essere almeno sentiti nella distribuzione delle risorse tra le Regioni per la costruzione di nuove scuole e la messa insicurezza di quelle esistenti”. “Dopo le picconate della Corte sulla legge Madia di riforma della Pubblica Amministrazione – ha concluso Donazzan – il nuovo pronunciamento dei giudici costituzionali sulla “buona scuola” restituisce significato e vigore al ruolo programmatico e organizzativo delle Regioni e ribadisce che lo Stato non può intervenire oltre i limiti prefissati dalla Carta (ndr – costituzionale). Per il Veneto, che nel 2017 andrà a referendum per dare una investitura popolare alle proprie richieste di maggiore autonomia, questa sentenza rappresenta un ulteriore e importante viatico per la propria storica battaglia”. In definitiva, dopo la bocciatura popolare della riforma costituzionale dell’ex premier Renzi, ora anche la Consulta sta censurando alcune delle azioni riformatrici adottate dal suo governo, come è già accaduto in precedenza con la legge Madia sulla Pubblica amministrazione ed ultimamente con la sentenza Amato per la legge sulla cosiddetta “buona scuola”. Ma i temi non ancora toccati dalla Corte costituzionale su altre importanti novità introdotte da Renzi sono ancora molti a cominciare dalla legge Delrio che ha soppresso l’elezione diretta degli amministratori delle Province e dalla legge elettorale per la Camera, meglio nota come “Italicum”, per la quale si attende il pronunciamento della Consulta il prossimo 24 gennaio. Senza considerare, poi, il “cuore” della riforma sulla disciplina ed il mercato del lavoro, dispositivo noto come il “jobs act”, messo in discussione da una richiesta di referendum promossa da alcuni sindacati, con in testa la Cgil guidata dalla Camusso e la Fiom da Landini. Referendum già dichiarati ammissibili dalla Corte di Cassazione e su cui a breve si attende il pronunciamento definitivo dei giudici costituzionali. Insomma, molte delle azioni costituenti la retorica renziana rischiano di concludersi in un vero e proprio bluff.
Giuseppe Palella
Pubblicato il 4 Gennaio 2017