Cultura e Spettacoli

‘Incannizzata’, la morte dei cefali nel lago di Varano

Per una serie di ragioni al 90% riconducibili all’attività dell’uomo, le acque di Varano si vanno eutrofizzando. Questo impoverimento dell’ossigeno sta segnando la morte della flora e della fauna del più vasto lago salmastro d’Italia (danno che si ripercuote anche sulla ricca avifauna della zona, particolarmente concentrata sull’isola di Varano, l’istmo che divide il lago dall’Adriatico e che ospita l’omonima Riserva naturale). Insieme a spigole e orate, ne stanno facendo le spese soprattutto i cefali, ormai avviati all’estinzione e che invece una volta qui erano così numerosi da rappresentare una risorsa per le popolazioni costiere. Fino ai primi anni sessanta quotidianamente, i pescatori scendevano a frotte da Cagnano, Carpino e Ischitella a gettare le reti in quello specchio d’acqua. ‘Giorni a Varano’, un rarissimo documentario a colori prodotto nel 1958 dall’Istituto Luce e girato da Giuseppe Sala testimonia una particolarissima forma di caccia al cefalo eseguita con la tecnica pressoché preistorica dell’ ‘incannizata’. Era un lavoro di squadra, quello. Chiamata ‘ciurma, la squadra si componeva di otto uomini, distribuiti su tre barche a remi. La prima di queste, l’unica a non portare reti, e con a bordo il rematore e l’avvistatore-battitore, precedeva le altre che si mantenevano disposte parallelamente. Questa disposizione a V, una volta che dalla prima imbarcazione fosse partito il segnale d’avvistamento, si capovolgeva. Ovvero, le altre due barche sempre procedendo parallelamente superavano la prima e si portavano in testa al branco. A questo punto, con un bastone, il segnalatore si metteva a percuotere l’acqua per spaventare i cefali e spingerli verso la trappola. A questo punto le imbarcazioni che precedevano si fermavano e cominciavano a stendere la rete, che, resa rigida da canne palustri disposte a intervalli regolari e appesantita lungo il bordo inferiore da piombini, scendeva verticalmente rispetto alla superficie dell’acqua creando una barriera. All’avvicinarsi del branco, le due imbarcazioni iniziavano a retrocedere imprimendo alla disposizione della rete una curvatura via via più accentuata. La manovra avvicinava gradatamente sia le barche che i lati opposti della rete. Perché la manovra fosse perfetta, il battitore doveva finire di spaventare i pesci quando il cerchio si fosse chiuso e le tre barche si fossero trovate affiancate. A quel punto intorno al branco si era chiusa una gabbia in qualche nodo vicina alla camera della morte delle tonnare ‘di corsa’, ovvero quelle allestite in mare aperto. Con la differenza che la tecnica dell’incannizzata non prevedeva l’impiego di arpioni : la raccolta delle prede avveniva a mano, dopo che era stato riportato in superficie il bordo inferiore della rete.

Italo Interesse


Pubblicato il 1 Agosto 2017

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