Il linguaggio sessista e la non visibilità delle donne
In principio fu ambra. Che salì sul palco del Concertone del Primo Maggio e, come ricorderete, scompaginando battaglie femministe che riguardano il linguaggio di genere in atto ormai da diverso tempo e che sono controverse e spesso derise e svalutate, disse “Chiamateci come volete, ma dateci i nostri soldi, quello che ci spetta”. Ed è giustissimo per carità, perché io con le vocali non compro da mangiare ai miei figli, non li mando all’università, non do loro gli strumenti per essere autonomi e liberi. Tra l’altro apre una questione collaterale, che non possiamo far finta di ignorare, che è quella della violenza economica, argomento ancora poco conosciuto ma vero motivo (insieme alla paura) del perché le donne rimangono in situazioni di violenza. Certo non perché hanno la sindrome della crocerossina, che è una definizione orrenda (magari pensata da un uomo) ed è una delle cose più offensive che si possano dire ad una persona vittima di violenza. Che cosa aveva dimenticato però Ambra? Che quando stai combattendo devi partecipare a tutte le battaglie. Non è che scegli. Questa sì, questa no, in base alla convenienza del momento. Non necessariamente chi scendeva in piazza per il divorzio e l’aborto lo facesse perché voleva abortire o divorziare. Lo faceva perché aveva sposato una causa. Si fa così, si prende il pacchetto. E nel pacchetto c’è anche la questione del linguaggio che purtroppo è ancora sessista. Perché non è che nasca adesso questa situazione e nemmeno con LA Presidente del Consiglio che, eletta, ha deciso purtroppo di abdicare al femminile. Se ne può discutere, si può essere d’accordo o no, si può ritenere la questione inutile o, magari, parte di un necessario cambiamento generale la cui istanza non è nata ora ma che, per motivi squisitamente culturali e politici, viene solo sfiorato, come dicono tristi dati a disposizione di chi li vuole leggere. Tornando al linguaggio, dobbiamo tornare al 1975 per trovare i primi documenti nei quali si inizia a riconoscere che l’utilizzo del maschile è arcaico e inizia ad esserci più forte la consapevolezza di uno stampo androcentrico da superare per veicolare in maniera corretta la nozione di genere, e risale addirittura al 1987 un lavoro notissimo, commissionato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, alla prof.ssa Alma Sabatini la quale scriveva le “Raccomandazioni per un uso non sessista della lingua italiana”. Che, tra le altre cose, suggeriva di concordare aggettivi e participi con i nomi che sono in maggioranza. Se sono pari, si concorda con l’ultimo nome della lista. E poi di usare i titoli professionali al femminile. Mi pare molto semplice.
Perché se un oggetto o un concetto non vengono rappresentati con parole adeguate non esistono, semplicemente perché il linguaggio è l’interfaccia del pensiero e se io non chiamo una cosa con il suo nome, quella cosa non esiste. Se continuo a dire “sindaco” riferendomi ad una donna sbaglierò due volte. La prima perché farò un torto alla signora negando la sua identità, la seconda perché starò affermando che normalmente i sindaci sono uomini. Questo caso quindi rappresenta un’eccezione, e per questo io lo assimilo al maschile. Il messaggio che passa è chiaramente sbagliato e non riguarda solo il linguaggio, ma ha a che fare con la leadership femminile, di fatto negandola. Utilizzare il genere giusto valorizza invece la leadership femminile, perché si va ben oltre la valorizzazione personale legata al singolo (alla singola) ma diventa un discorso politico. Continuare ad usare un linguaggio maschile contribuisce, ad esempio, ad alimentare il fatto che in tanti campi si continui ad usare un solo genere come riferimento, dalla medicina all’intelligenza artificiale, passando per i test di sicurezza sulle automobili e sugli autobus, di fatto facendo finta che le donne non esistano o che comunque le loro caratteristiche e/o esigenze siano secondarie rispetto a quelle degli uomini. Per questo, prima ancora della leadership femminile bisogna affrontare il tema del riconoscimento di identità che è fondamentale, sembra scontato e invece non lo è, e iniziare a modificare il linguaggio può essere un primo passo. Un piccolo passo per la donna, un grande passo per l’umanità.
Simonetta Molinaro, criminologa perfezionata in gender equality
Pubblicato il 17 Novembre 2023