Cultura e Spettacoli

Il fuoco di San Severo

Il 23 marzo di settantatré anni fa i lavoratori insorgevano contro le forze di polizia, alzando barricate e assaltando le armerie: un morto e circa quaranta feriti

Quando il 16 aprile 1948 Antonio Pallante, un giovane anticomunista, attentava a Palmiro Togliatti, ferendolo soltanto, seppure gravemente, l’Italia veniva investita dal più grande sciopero della sua storia, scoppiato ovunque in modo spontaneo e caratterizzato da gravissimi disordini. Complessivamente il bilancio fu di 7 morti e 120 feriti tra le forze di polizia e 7 morti e 86 feriti tra i cittadini. Se Togliatti non fosse sopravvissuto ai tre proiettili che lo colpirono, il bilancio dei disordini sarebbe stato ben più grave. Tre di quelle morti insanguinarono la nostra terra. A Gravina tremila manifestanti occuparono il pastificio Divella, visto come la più alta espressione locale del capitalismo e della sopraffazione borghese a danno della classe proletaria. Prontamente accorsi, Carabinieri furono affrontati con una sassaiola e colpi d’arma da fuoco. Due militi vennero feriti, uno dei quali venne “trascinato all’interno del cortile della Camera del Lavoro e lì derubato del portafogli, disarmato di pistola e mitra e infine pesantemente colpito al capo”. Sul fronte opposto perse la vita tale Michele D’Elia, un bracciante comunista pregiudicato e addosso al quale le forze dell’ordine trovarono “una pistola carica con cinque colpi e tredici cartucce”. Le altre due vittime si registrarono a Taranto : Nel corso dello sciopero dei lavoratori dei cantieri navali e delle officine, forze di polizia caricarono la folla dinanzi alla Camera del Lavoro uccidendo l’operaio Angelo Gavartara e ferendo altri quattro manifestanti ; rimase gravemente ferito anche l’agente di PS Giovanni D’Oria, che sarebbe deceduto qualche giorno più tardi in ospedale. In parallelo a quegli scontri, un’armeria nei pressi della Camera del Lavoro veniva assalita da alcuni facinorosi i quali portavano via sette fucili, numerose cartucce e coltelli da caccia”. Al funerale di Gavatara presero parte diecimila persone. Quanto al resto della Puglia, a Bari si registrarono alcuni blocchi stradali ; durante i tumulti una donna fu colpita da una pallottola alla natica. A Barletta i comunisti devastarono la sede della Democrazia Cristiana. A Troia i rivoltosi cercarono di far sospendere la trebbiatura. A Cerignola, città ‘rossa’ per antonomasia, si registrò l’astensione totale dal lavoro. Nelle campagne di San Severo presero fuoco 157 covoni… (facile immaginare il danno se si pensa a quanto è successo domenica scorsa a Taranto dove sconsiderati hanno dato fuoco, con conseguenze che avrebbero potuto essere tragiche, a immense pire elevate in onore di San Giuseppe). Le faville di quei covoni, parlando in senso figurato, non si spensero. Covando sotto la cenere, tornarono a vomitare fiamme due anni dopo. Il 9 gennaio 1950, a Modena, lavoratori del complesso siderurgico Orsi, dopo il licenziamento di 200 operai su 800 e una serrata padronale di quaranta giorni, si avvicinavano ai cancelli nell’intento di riprendere il lavoro. La carica della polizia e il fuoco delle mitragliatrici uccidevano quattro persone (in quel momento ministro degli interni era Scelba…). Il massacro scatenò reazioni sanguinose in tutta Italia. Il 23 marzo 1950, fu il turno di San Severo: Lavoratori insorsero contro le forze di polizia, alzando barricate (vedi immagine), assaltando le armerie e la sede del MSI. Gli scontri causarono un morto e circa quaranta feriti tra civili e militari. Intervenne l’esercito che occupò coi carri armati le principali vie della città. Nei giorni seguenti, coll’accusa di insurrezione armata contro i poteri dello Stato, furono arrestate centottantaquattro persone, poi assolte e rilasciate al termine del processo, l’anno dopo.

Italo Interesse


Pubblicato il 23 Marzo 2023

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