Cultura e Spettacoli

Il fratellastro complessato di Mosè

Gli studiosi non riconoscono verità storica a Mosè e alle sue imprese. Spiegano ciò, per esempio, con l’affermazione che il numero 40 (ricorrente nell”Esodo’ biblico) non abbia un valore storico ma simbolico (numerologico). Negli annali egizi non si parla di esodo per il fatto che gli Ebrei erano schiavi e quindi indegni di memoria storica. Si tratterebbe, quindi, di una narrazione inventata (come quella di Adamo ed Eva) a cui fu affidato il compito di trasfigurare le vicende ebraiche con la creazione di un eroe e di eventi meravigliosi (come il Mar Rosso che si apre per permettere la fuga degli Ebrei inseguiti dagli Egizi che periranno, poi,  al rinchiudersi delle acque). Una bella favola, a cui  rimaniamo tutti legati, che ha affascinato e affascina artisti, romanzieri e registi. L’ultimo, tra costoro, è Ridley Scott che alimenta con il personaggio di Mosè la sua visionarietà e il suo amore per una storia mitica, da lui rivissuta e rielaborata. In questa  versione degli avvenimenti occorsi al futuro profeta del popolo ebraico, v’è l’invenzione, di sana pianta, di un fratellastro complessato. Ramesse, figlio del faraone (siamo nel 1300),  vive nell’ombra del fratello-trovatello che il re (un tormentato John Turturro) dichiara di preferire come sua legittima progenie.  Christian Bale (ex Batman), a causa di questa vicissitudini familiari,  è costretto quindi a fare le valige: cosa che non gli vieta di sposare una fascinosa ‘araba’, figlia di un predicatore locale. Il film esordisce, mostrandoci lo sfarzo della corte egiziana e, soprattutto, la monumentalità di Menfi, la capitale. Ma lentamente s’insinua nel film l’introspezione, favorita dai conflitti psicologici che attanagliano i personaggi:  soprattutto quelli facenti parte del ‘teatrino’ familiare (a salvarlo dalle acque del Nilo  sarà una presunta sorella, il cui ruolo si aggiunge al bagaglio psicologico della pellicola). Ciò determina un rallentamento del ritmo, cosa che comporta, pure, il ridimensionamento dello sfarzo su cui, in parte, il film si basa. Con la fuga e l’inseguimento  si ripristina il dominio dell’avventura che rappresenta per Scott un terreno più congeniale. Lo stesso cromatismo asseconda lo sviluppo della trama. Il grigio,  sottolineando il tormento interiore, si trasmette alle onde confluite ai due lati dello schermo, diventato letto di un  corso d’acqua. Raggiunto il ‘climax’, il film si avvicina velocemente alla conclusione, trattando sotto tono il ‘prodigio’ dei dieci comandamenti a cui si accenna quando si mostra l’incisione dello scalpello sulle Tavole della Legge. Partendo, quindi, da innovazioni (i conflitti individuali), il regista tende a smorzare  la parte più strettamente religiosa dell’episodio biblico. D’altro canto, Scott aggiunge il suo tassello personale all’immortale leggenda di Mosè.

Gaetano D’Elia


Pubblicato il 22 Gennaio 2015

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