Il coltello, compagno al pastore
La ‘balestra’lucana differisce dal ‘masunin’ ligure, il quale a sua volta nulla ha a che vedere col ‘ronchetto’ valdostano. A parte l’essere tutti pensati per tagliare, essi differiscono l’uno dall’altro per caratteristiche tecniche e tipo d’impiego. Può sembrare incredibile ma tra i prodotti regionali ci sono anche i coltelli (sono ben centoventuno i modelli di tradizione). Ogni coltello presenta caratteristiche ben precise che sfuggono all’occhio del profano, non a quello del cacciatore, del trapper, del soldato incursore o del collezionista. Anche la Puglia ha la sua lama ‘doc’. E’ il ‘martinese’, che prende nome dal luogo d’origine, Martina Franca. Variante dello’ sfilato di Frosolone’ (tipico del Molise), da cui differisce per la tipica forma della lama calata, il martinese è lungo complessivamente una quindicina di centimetri, di cui sei sono riservati alla lama (in acciaio) ; è munito di una testina in ottone e di un manico in corno di bove. Il martinese, che come ogni coltello a serramanico presenta il vantaggio di stare comodamente in tasca senza rappresentare un pericolo a differenza dei coltelli a lama fissa o a scatto, conobbe la sua fortuna soprattutto tra i pastori pugliesi che praticavano la transumanza, cioè la migrazione stagionale delle greggi dalle zone collinari verso i litorali pianeggianti e viceversa. Parliamo di gente costretta a dormire all’aperto, a servirsi di ricoveri di fortuna, a fronteggiare in solitudine qualunque necessità. Il martinese era per il pastore un compagno di lavoro altrettanto prezioso che i cani al seguito del gregge o il classico bastone multiuso. Ci fosse da tagliare una fetta di pane, un tocco di pecorino, una fetta di salame, servisse fare la punta ad un ramo per arrostire qualcosa sulla brace, tranciare una corda oppure arroventare una lama per togliere una spina dalla zampa di una bestia, il martinese rispondeva alla bisogna. Maneggevole e robusto, duttile, né troppo lungo, né troppo corto, il martinese non tradiva mai. A condizione però di averne cura. Prima di richiuderlo il pastore non doveva trascurare mai di pulirlo o d’asciugarlo. E se la lama perdeva il filo? Nella bisaccia del pastore non poteva mancare un pezzetto di pietra abrasiva. E se questa si consumava, si spezzava o andava perduta, l’alternativa era un sasso il più liscio possibile su cui far scivolare la lama seguendo un movimento continuo, circolare o alternato, identico su entrambi i lati, facendo attenzione a mantenere il giusto angolo di affilatura. I pastori pugliesi erano gelosissimi dei loro martinesi ; spesso se li tramandavano di padre in figlio. Tra povera gente era come un piccolo scettro, un simbolo di potere su un branco di ovini e una muta di cani.
Italo Interesse
Pubblicato il 15 Giugno 2018