Cultura e Spettacoli

I peggiori nemici degli ignoranti e dei fanatici sono l’archeologia e la storia

A Tadmar, da noi detta Palmira (città delle palme), in un’oasi del deserto della Siria, a 230 chilometri a nord-ovest di Damasco, a mezza strada fra il Mediterraneo e l’Eufrate, furono scoperte negli anni ’70 tracce di insediamenti neolitici. Ma, già menzionata fin dal sec. XIX a.C. in testi cuneiformi, Palmira si  era sviluppata veramente in età ellenistica e romana, raggiungendo l’apogeo nei ss. II-III d.C.. fino alla sconfitta della sua regina Settimia Zenobia, nel 272, a opera dell’Imperatore L. Domizio Aureliano. La prosperità di Palmira era stata determinata soprattutto dalla sua posizione quale  centro di transito carovaniero e di commerci. Fu quindi parzialmente ricostruita da C. Valerio Aurelio Diocleziano. A scavi tedeschi del 1902 e del 1917 seguirono importanti scavi francesi negli anni 1928-30 e, dopo la seconda guerra mondiale, le ricerche delle missioni francesi, polacche, siriane e svizzere. Le rovine di Palmira, in pieno deserto, sono tra le più grandiose tramandateci dall’antichità. La città era attraversata da una via colonnata di 1100 metri, larga 9 metri: le colonne dei portici laterali erano alte m. 9,50. Costruita nel sec. II d.C., passava sotto due archi monumentali. Il più grande edificio di Palmira è il tempio di Bel, che si trova entro una corte quasi quadrata (m. 205 x 210), circondata da un muro secondo la tradizione orientale, a sua volta fiancheggiato da portici interni. Il tempio posava su un podio e davanti all’entrata, che si apriva su uno dei lati più lunghi, erano collocati l’altare e il bacino rituale. Ne rimane la cella tripartita, circondata da colonne corinzie dai capitelli un tempo di metallo dorato, innalzate nell’anno 32. Un altro tempio importante era quello di Baalshamin , anch’esso all’interno di un complesso di corti e porticati. La cella era provvista di finestre, caratteristica questa quasi sconosciuta nell’architettura greca e romana. Intorno alla città si stendevano le necropoli; le tombe più caratteristiche sono le torri funerarie a più piani, entro le quali erano ricavati i loculi: alcune ne contenevano fino a 400. La più importante è la torre di Giamblico, così detta dal nome del defunto indicato nell’iscrizione, dell’anno 83. Non  si tratta quindi del  filosofo  neoplatonico  Giamblico  di  Calcide,  né  dell’autore  delle Storie babilonesi, Giamblico di Siria, entrambi di età posteriore. Gli scavi di Palmira, soprattutto quelli delle necropoli, hanno restituito un numero considerevole di rilievi, assai rappresentativi per lo studio dell’età partica. Essi sono notevoli per il loro verismo, che consente una conoscenza particolareggiata  degli aspetti del costume partico, ma pure per il loro aspetto ieratico, per la presentazione frontale e una certa spiritualità che li distingue dall’arte greco-romana tradizionale, per accostarli piuttosto a quelle forme tardo-antiche che dal basso Impero si verranno affermando nell’arte bizantina. Responsabile per quasi mezzo secolo di questo sito archeologico, uno dei più suggestivi al mondo, testimonianza dell’appartenenza della Siria a un patrimonio culturale condiviso da tutta l’umanità, era ancora ieri  il prof. Khaled Al Asaad. Davanti al Museo che dirigeva, egli ha dato la  vita per difenderne i tesori, rifiutandosi di indicare ai miliziani dell’ISIS  dove fossero stati da lui nascosti i reperti in esso custoditi, di cui  quelli intendevano impadronirsi per venderli e acquistare armi. E’ un traffico, questo, che chiama in causa la responsabilità del neo-capitalismo dell’Occidente che,  dai mercanti d’antichità agli acquirenti,  foraggia il terrorismo islamico per impreziosire le  crasse dimore e le collezioni di  ricettatori. La notizia dell’omicidio di Al Asaad, dopo oltre un mese di  detenzione illegittima, interrogatori brutali, maltrattamenti e torture, è stata data ufficialmente dal dr. Maamoun Abdulcharim, responsabile del Servizio delle Antichità Siriane e dalla famiglia dell’ucciso. Con Abdulcharim aveva Al Asaad continuato a lavorare, pur dopo il pensionamento per superati limiti d’età nel 2003, sordo alle insistenze di familiari, amici e colleghi che lo scongiuravano di andar via da Palmira, dopo i tristi avvenimenti di Hatra Nimrud e Mosul e le minacce pervenutegli. Il Califfato ha motivato invece questa uccisione con la condanna per gli incarichi prestigiosi conferiti ad Al Asaad dal Governo di Damasco, lei conferenze all’estero di questo grandissimo studioso il peggiore nemico, infatti, dell’ISIS  sono l’archeologia e i suoi cultori. Ipocrita è apparso a tutti il cordoglio espresso dagli odierni politicastri d’Occidente, fautori e strenui difensori di quel delinquenziale neo-capitalismo che li ha indottrinati [ “Allah akbar, neft akber”, denunciava  Essad Bey in Allah ist gross, Wien 1936. pp. 208 ss.] a destabilizzare il mondo arabo e così  favorito, sia  pure inconsciamente, il contrabbando di antichi beni culturali e di armi.

Emilio Benvenuto 


Pubblicato il 9 Settembre 2015

Articoli Correlati

Back to top button