Cultura e Spettacoli

I differenti ‘inquilini’ della grotta di Rignano

Nel territorio di Rignano Garganico si apre una grotta che in un primo momento ospitò generazioni dell’Uomo di Cro-Magnon

In località Paglicci, nel territorio di Rignano Garganico, a quota cento metri si apre una cavità che, quando venne scoperta (nel 1957), si rivelò una miniera archeologica. Il ‘giacimento’, che risale al Paleolitico è ricco di sepolture, resti umani e animali, graffiti, pitture parietali, impronte di mani e una quantità  di reperti. Il più prezioso di questi consiste in una pietra usata come pestello da mortaio e sulla cui superficie sono stati trovati granuli di amido di avena. Ne è stato dedotto che migliaia di anni fa le comunità di Grotta Paglicci ricavavano una rudimentale farina da graminacee selvatiche, con prevalenza di avena. Questa mole di reperti (oltre 45mila pezzi) è conservata in parte nei locali della Soprintendenza Archeologica di Taranto e in parte a Rignano Garganico. L’Uomo di Cro-Magnon fu dunque il primo ‘inquilino’ di Grotta Paglicci. Molte decine di migliaia d’anni più avanti quella spelonca avrebbe conosciuto ben altro inquilino. Il condizionale è d’obbligo non essendovi prova certa che effettivamente in quell’antro Gabriele Galardi (Briele Jalarde) – un brigante nato a San Paolo Civitate nel 1824 e molto attivo nel Gargano fra il 1861 e il 1864 – depositò un forziere colmo di monete d’oro, gioie e argenteria, frutto del proprio ‘lavoro’. Chi non ci crede obbietta ragionevolmente che Jalarde fu solo un pesce piccolo del cosiddetto brigantaggio politico. Avesse accumulato un tesoro, il suo nome si sarebbe affiancato a quello dei vari Crocco, Romano, Laveneziana, Ninco Nanco… Così non è stato, invece. Per spiegare questa ben diffusa diceria del tesoro di Jalarde, l’unica è considerare una pista parallela :  Nei giorni della rivolta anti-unitaria, Grotta Paglicci non era nascondiglio esclusivo di Jalarde. Nella stessa spelonca si davano convegno anche i più importanti malfattori del tempo attivi in quell’area (Vardarelli, Caruso, Schiavone…). E’ possibile quindi che all’interno di Grotta Paglicci i capibanda depositassero il ricavo di ruberie e ricatti. Una specie di cassa comune, un ‘ fondo di previdenza’ per il giorno in cui avessero deciso di smettere la lotta nel nome del Borbone e fare fagotto. Jalarde era il custode di quella fortuna? Quando poi, vittime di scontri a fuoco o del plotone d’esecuzione, quegli insorti vennero neutralizzati, Jalarde dovette ritrovarsi ad essere l’unico depositario di quel segreto, nonché l’unico in grado di disegnare una mappa per raggiungere la grotta del tesoro. Ma c’era un inconveniente : Jalarde era a sua volta al Bagno Penale… Per tutta la prigionia accarezzò l’idea dell’evasione, il sogno dell’amnistia. Invano. Nell’imminenza della morte trasmise il segreto ad un compagno il quale una volta in libertà fece ricerche andate a vuoto. Perciò quell’uomo vendette o regalò la mappa a un altro. Poi la mappa, o una copia della stessa, passata di mano in mano, finì negli anni sessanta nelle mani di tale Leonardo Esposito, un tipo assai ostinato di Sannicandro Garganico che a forza di esplosivi devastò l’area di Grotta Paglicci per scovare il tesoro. Non trovò niente. Morì nella convinzione che su quell’oro avrebbe prima o poi messo le mani se avesse avuto più tempo a disposizione (e più dinamite, per il cui acquisto si era rovinato e per il cui abuso aveva avuto guai con i Carabinieri).

Italo Interesse


Pubblicato il 17 Marzo 2023

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