Cultura e Spettacoli

Guerra santa e capitolazione nel diritto musulmano

In questi giorni, in cui si legge e parla comunemente, a ragione e, ancor più, a torto, di guerra tra Musulmani e, come questi usano dire, infedeli e persino di sanguinosa discordia tra le due confessioni islamiche maggiori dei Sunniti e degli Sciiti e si teme addirittura il profilarsi di una terza guerra mondiale, che soltanto arricchirebbe ancor più vecchi ceti di pescecani e ne produrrebbe pure di nuovi, sarebbe doveroso informarsi e informare con maggiore cognizione gli ignari di quanto a proposito della minacciataci guerra santa dica il diritto musulmano, unica fonte certa e veridica. La guerra santa (jihad) era il primo dovere per il Califfo ed è dovere collettivo ( fard al-kifàyah ) per la comunità musulmana. Chi vi muore combattendo diventa martire (shaìd) e va subito in Paradiso. La guerra santa deve essere preceduta da una diffida, intimata agli infedeli, di sottomettersi. E’ vietato: mutilare i nemici; uccidere i non combattenti. I combattenti fatti prigionieri possono essere: uccisi o tenuti schiavi; liberati contro scambio o riscatto.Il bottino (ganimah) è diviso in cinque parti, di cui quattro vanno ai combattenti presenti all’azione che lo ha consentito (al cavaliere il triplo che al fante); l’altro quinto è a sua volta diviso in cinque parti destinate: ai  Banù Hàshìm  (discendenti della gente del Profeta); agli orfani; ai bisognosi; ai viandanti; alle necessità dello Stato. Chi uccida un nemico ha diritto, in  più, alle sue  spoglie;  a chi  compia  azioni  segnalate  va  data  anche  una  ricompensa  speciale ( nàfilah ); chi ha combattuto senza averne l’obbligo, djmmì,  donna, minorenne o  schiavo,  riceve una  apposita rimunerazione ( raddh ). Quanto agli immobili, le  ‘anwìyah   (terre conquistate con la forza)  diventano effettivamente bottino, ma sono lasciate in possesso ai vinti con obbligo di tributo  ( hàràj ); le terre ottenute per trattato, o terre ssullìyah, pur rimanendo in solo possesso dei nuovi sudditi non musulmani, pagano un haràj più leggero e di tale tributo ( fay’ ) si  dispone per le necessità dello Stato. In terra islamica i sudditi non musulmani sono tollerati solo se seguaci di un libro sacro ( kitàbì ), ossia  gli Ebrei  ( yahùdì ) , i Cristiani  ( nassrànì ) e anche i Mazdeisti ( magùsì ) ; con tutti gli altri lo stato di guerra è perpetuo, tranne eventuale tregua, o hudnah. Nello Stato islamico quei miscredenti diventano protetti  (ardd ad-harajiyah ) e restano nella loro terra tributaria  (ardd harajìyah ) , conquistata con le armi  ( ‘anwìyah ) o per trattato  ( ssulhhìyah ) .Doveri dei djimmì sono: pagare i tributi, ossia il  haràj  per le terre possedute e la capitolazione ( jiziyah ) di quattro dìnàr annui per ogni maschio libero, pubere e sano, eccettuati i monaci; portare uno scialle  ( giyàr ) e una cintura  (zunnar ) di colore azzurro o grigio per i Cristiani, giallo per gli Ebrei, nero o rosso per i Mazdeisti; non montare cavalli nelle città, ma solo muli o asini senza sella; avere contegno remissivo e rispettoso coi Musulmani, cedendo sempre loro il passo e salutandoli per primi;non fare estrinsecazioni rumorose del loro culto;non costruire nuovi templi.In compenso è loro garantita la vita e il possesso dei beni, sono protetti contro i nemici e possono esercitare il proprio culto. Il djimmì non fa parte della comunità musulmana, non può quindi esercitarvi alcun ufficio pubblico e nemmeno essere teste in un giudizio che riguardi Musulmani o djmmì di fede diversa dalla propria; è tuttavia annesso che possa essere Cancelliere dell’ufficio di un qàddì, o perito giudiziario in mancanza di periti musulmani; può anche essere, come del resto pure uno schiavo, Ministro, ma con funzioni semplicemente esecutive. Non può sposare una musulmana e non corre un rapporto ereditario tra lui e un musulmano. I djmmì seguono, quanto ai rapporti familiari e successori, le leggi loro proprie e sono retti dalle rispettive autorità religiose. Sono puniti come i Musulmani nei casi di reati interessanti l’ordine pubblico (p. es. il brigantaggio); per gli altri (p. es. per la fornicazione) vengono deferiti ai relativi tribunali religiosi, sempre  che la loro azione non abbia provocato pubblico scandalo.Nelle cause fra djmmì della stessa religione, essi possono adire il giudice musulmano, il quale, se accetta, applicherà la loro legge; nelle cause fra djmmì di religione diversa, unico giudice competente è il qàddì e unica legge applicabile  è  la  islamica.  Il miscredente  hharbì in possesso di salvacondotto ( amàn ) sarà giudicato secondo la legislazione islamica nel caso che derubi o danneggi un musulmano, perché non è a tale scopo che il salvacondotto gli era stato concesso.Il contratto di protezione  ( djimmah ) è sciolto quando i patti non vengono osservati, ossia il  djimmì: impugni le armi contro i Musulmani; rifiuti di pagare le imposte; rifiuti illegittimamente di prestare l’obbedienza dovuta all’autorità musulmana;rapisca o seduca con inganno una donna musulmana libera;parteggi, anche nascostamente, per il nemico; oltraggi la religione islamica;converta un musulmano alla propria religione o lo induca all’eresia. Allora il djmmì viene punito con la morte o fatto schiavo; nei casi meno gravi può salvarsi abbracciando l’Islam. Vien detto nei vv. 190-195 della Sura II del   C o r a n o: Combattete sulla via di Dio coloro che vi combattono ma non oltrepassate i limiti, ché Dio non ama gli eccessivi. – Uccidete dunque chi vi combatte, dovunque li troviate e scacciateli di dove hanno scacciato voi, ché lo scandalo è peggio dell’uccidere; ma non combatteteli presso il Sacro Tempio, a meno che non siano essi ad attaccarvi: in tal caso uccideteli. Tale è la ricompensa dei Negatori. –Se però essi sospendono la battaglia, Iddio è indulgente e misericorde. – Combatteteli dunque fino a chi non ci sia più scandalo, e la religione sia quella di Dio; ma se cessano la lotta, non ci sia più inimicizia che per gli iniqui. –Il mese sacro per il mese sacro e tutti i luoghi sacri seguono la legge del taglione; chi in quei luoghi vi aggredisce aggreditelo come egli ha aggredito voi, temete Iddio e sappiate che Dio è con chi Lo teme. – Erogate dei vostri beni sulla via di Dio e non gettatevi in perdizione con le vostre stesse  mani, ma fate del bene, perché Dio ama i benéfici. La guerra santa per il Corano è intesa come sforzo non bellico: XXV, 52 = Ma tu non obbedire a quelli che rifiutano la Fede, ma combattili con la Parola, in guerra grande. XLIX, 15 = Perché i credenti sono coloro che han creduto in Dio e nel suo Messaggero, e non hanno avuto dubbi, e hanno lottato coi loro beni e con le loro persone sulla via di Dio: quelli sono i sinceri. Per il teologo, come per il giurista, musulmano, l’Islàm niente ha a che vedere con l’adozione del terrorismo come metodo di lotta politica e/o  mezzo di propria salvaguardia o diffusione. E’ auspicabile che esso riesca ad affermare solennemente in diritto sui valori coranici, larghi di possibilità di superamento, nonostante il loro carattere giuridico, un ordine sociale che estenda a tutti un legame di giustizia obiettiva; ciò presuppone una evoluzione del pensiero teologico, più ampia di qualsiasi altra sinora tentata e che sappia assimilare il pensiero moderno, come già, una volta, seppe assimilare  il pensiero greco. Non ci si costringa a una difesa, che sarebbe insuperabile e foriera di asperrime conseguenze!   

Emilio Benvenuto


Pubblicato il 4 Dicembre 2015

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