Cultura e Spettacoli

Grotta Paglicci: il pane dei progenitori

Il concetto di sito archeologico si è allargato. Poiché prescinde dall’idea di scavo, il numero delle aree di interesse culturale che conservano tracce dell’attività umana del passato si è ora esteso anche agli ipogei, che per essere scoperti hanno bisogno di speleologi invece di gente armata di pala e piccone. Tanto ha pressoché raddoppiato, elevandolo a oltre cinquanta, il numero dei siti archeologici pugliesi. Tra gli ipogei di casa nostra di riconosciuto valore archeologico spicca Grotta Paglicci, nell’omonima contrada del territorio di Rignano Garganico, un piccolissimo centro posto nel cuore del Gargano. Quello di Grotta Paglicci è un ‘giacimento’ del Paleolitico, quel periodo della preistoria in cui si sviluppò la tecnologia umana con l’introduzione dei primi strumenti in pietra. Grotta Paglicci è ricchissima di graffiti, pitture parietali,  impronte di mani e altri reperti. Il più prezioso di questi reperti consiste in una pietra usata come pestello da mortaio e sulla cui superficie sono stati trovati granuli di amido di avena. Ne è stato dedotto che migliaia e migliaia di anni fa la comunità di Grotta Paglicci ricavava una rudimentale farina da graminacee selvatiche, con prevalenza dell’aveva, forse del tipo ‘barbato’. La scoperta allarga il numero degli interrogativi. Per esempio, dove col pestello quei primitivi trituravano quelle graminacee essiccate al sole? Quasi sicuramente utilizzavano come mortaio una pietra la cui forma si prestava naturalmente a quella necessità e che l’uso prolungato dovette modellare sino alla perfezione. Ma una volta mescolata ad acqua, come cuocere quella rudimentale pasta in assenza di forni o tegami? Ancora oggi le ultime popolazioni del deserto cuociono sottilissime forme di pane su pietre ben levigate e larghe che siano state preventivamente arroventate. A Grotta Paglicci non facevano diversamente. Il particolare stato di conservazione dei granuli d’avena ritrovati all’interno della spelonca garganica ha poi convinto gli scienziati di una cosa : Quei chicchi erano stati sottoposti ad un trattamento termico artificiale prima di essere macinati. Evidentemente l’azione del sole non bastava o, bastando, richiedeva troppo tempo. Per cui, una volta essiccata alla meglio all’aperto, quell’aveva veniva riscaldata. Ma come, avvicinandola volta per volta al fuoco? Un sistema inaffidabile, potendo prendere fuoco facilmente. Meglio invece mescolarla a ghiaia bollente e rigirarla con bastoni. Ancora le pietre insomma. Pietre con cui scacciare intrusi, macinare fiori e ricavarne colori, graffiare una parete rocciosa e disegnarvi cose, ostruire di notte l’ingresso di una caverna, modellare punte di frecce, raschiatoi, lame di ascia… L’ingegnosità dei nostri progenitori aveva dello straordinario.

Italo Interesse

 


Pubblicato il 24 Maggio 2016

Articoli Correlati

Pulsante per tornare all'inizio