Daniela Marcone: “Resistere anche senza verità dando fiducia ai giovani”
“Riapertura del caso? Non voglio illudermi…La cosa di cui ho fiducia è che questa storia possa essere conosciuta fuori dalla nostra città”
“La cosa di cui ho fiducia è che questa storia possa essere conosciuta fuori dalla nostra città. Spesso mio padre viene ricordato come impiegato del Catasto, del Comune. Ma senza dettagli o con dettagli sbagliati, senza che si capisca quello che davvero è accaduto e quello che la nostra città ha dovuto subire. Il caso Marcone è stato considerato “il caso Foggia”. Le parole di Daniela Marcone, a trent’anni dall’uccisione del padre Francesco, risuonano forti e nette e si accompagnano alla memoria, oggi anche di un docufilm, e all’impegno di chi non ha mai smesso di cercare la verità. In 10 anni di procedimenti giudiziari ha visto tante piste aprirsi e chiudersi. Riapertura del caso? “Non voglio illudermi…La cosa di cui ho fiducia è che questa storia possa essere conosciuta fuori dalla nostra città”.
Daniela, sono 30 gli anni dall’uccisione di tuo padre. Questo anniversario 2025 è ancora più denso di attenzione e impegno
“Questo trentennale è denso di iniziative perché 30 anni sono stato carichi di significato: tanto dolore, tanto disagio ma anche tanta azione. Non siamo rimasti a casa a piangere, come forse qualcuno avrebbe voluto e ci ha consigliato tra le righe. Nei primi tempi abbiamo ritenuto di dover tenere duro e di dover raccontare questa storia per farla arrivare con dei pezzi di verità dopo 30 anni. Tante iniziative ci sono per ricollegare tutti i punti di questa storia e riattivare la memoria di Francesco Marcone nella città di Foggia, provare anche a portarla altrove”.
Quanto la città di Foggia ti è stata vicina (o lontana) in questi anni?
“La città per me è il luogo dove vivo, in cui ho scelto di restare. Certamente ho vissuto con grande dolore il declino di questa città e gli anni in cui si parlava di Foggia solo per gli omicidi, per il sangue versato, per ciò che non funzionava, per il degrado, per l’essere sempre agli ultimi posti in graduatoria. Ma Foggia resta nei primissimi posti nei miei sentimenti e nel mio cuore. È la città in cui è vissuto Francesco Marcone, la città in cui è stato ucciso ma in cui ha deciso di vivere. Aveva avuto la possibilità di ritornare a lavorare fuori per un posto più importante, per la sua carriera, di quello di Foggia. Ha scelto di restare qui, quindi per me è importante che questa città continui a esserci accanto e a essere vicino a papà”.
Anche l’esperienza di Libera celebra 30 anni. Quanta forza ti ha dato nelle tue battaglie?
“Il mio impegno e quello di Libera coincidono. Li ho conosciuti nell’autunno del 1995 e sono stata invitata nel 1996 al primo incontro della memoria e impegno in ricordo delle vittime innocenti di mafia. Sicuramente all’interno di questa rete ho potuto crescere nel mio bisogno di memoria e di verità. In un tempo in cui, nella mia città, non si parlava di criminalità organizzata, c’era qualcuno altrove che ni ascoltava e che mi ha dato strumenti per capire quello che stava avvenendo a Foggia. È stato proprio durante le formazioni nazionali di Libera che, ascoltando il racconto delle altre criminalità organizzate di stampo mafioso da parte di esperti, ho capito che la nostra era, ai tempi, una vera e propria mafia, ancora senza un nome, con caratteristiche diverse dalle altre ma che c’era, eccome, e ci stava facendo molto male. Non solo alla mia famiglia e altre famiglie ma alla città. All’interno di Libera ho imparato a leggere le sentenze. Non è solo un fatto tecnico, a parte gli studi specifici, vuol dire anche aver letto le relazioni della Dia, i fatti raccontati dalla stampa. Ci sono stati alcuni provvedimenti giudiziari che mi hanno permesso di comprendere tante cose, anche i provvedimenti giudiziari più recenti fanno comprendere questioni accadute nel passato. Io mi auguro che ai vari collaboratori di giustizia dell’oggi i magistrati chiedano informazioni sempre sul nostro passato, sul delitto Marcone e sui delitti senza verità del nostro territorio”.
Ti sei sentita spesso isolata in questi anni, con la tua famiglia, lo hai dichiarato in più interviste. Senza verità, come si fa a credere ancora?
“Mi sono sentita isolata e la solitudine mi è pesata molto. Leggere la relazione prefettizia quando è stato sciolto il comune di Foggia, in cui si parlava di ‘solitudine sociale’, mi ha fatto comprendere più a fondo i miei sentimenti e il mio disagio. Bisogna leggere e mai smettere di studiare per comprendere il nostro territorio. Non è stato facile vivere senza verità. Oggi spesso sento dire che del delitto Marcone non si conoscono i mandanti e gli esecutori. È una macro verità ma, all’interno di questa verità superficiale, c’è quella che corrisponde di più alla realtà. Ho letto tutte le carte processuali di tutte le piste aperte e chiuse, alcune delle quali chiuse per mancanza di prove. Io conosco alcune verità ferme e incontrovertibili, e sarebbe importante che le conoscessero le persone della mia città, della mia comunità. Ma purtroppo è impossibile perché quelle verità non sono state consacrate in un provvedimento giudiziario definitivo. Fra i vari decreti di archiviazione, l’ultimo, quello firmato da Lucia Navazio, ci dice moltissimo di una città omertosa, del lavoro certosino compiuto da papà e ci indica tanti spunti per riaprire le indagini. Ma da quel momento non ho avuto più le forze per richiedere l’apertura, anche se non ho mai smesso di cercare la verità. Ho capito, dalla lettura di quello che è avvenuto in 10 anni di attività processuale, che se l’ultimo concetto ci consegna un’eredità è quella di scuotere le coscienze della nostra città e rendere i cittadini meno omertosi e più inclini a collaborare”.
C’è stato un momento in cui hai sentito che le cose stavano cambiando?
“Ho sentito che le cose stavano cambiando quando a livello nazionale c’è stata una maggiore attenzione per Foggia. Mi sono augurata con tutte le mie forze un cambiamento. Certamente non mi aspettavo che quest’interesse nazionale – arrivato dopo anni di disinteresse in cui i cittadini, non solo io, siamo stati lasciati soli- si sarebbe spesso fermato a quanto accaduto dal 2017. La strage di San Marco in Lamis è stata un punto di ripartenza certamente, ma non ci possiamo permettere di dimenticare quanto accaduto prima. Io stessa, da quel momento, ho ripreso a raccontare gli anni ‘90 della mia città per impedire che fossero dimenticati. Altrimenti davvero è difficile ricordarsi che c’è stato un percorso di queste mafie che, sottovalutate, sono arrivate a essere così violente. La memoria non si deve impacchettare ma deve vivere accanto al nostro presente, anche con le verità che non ci sono. Questo senza spaventare le nuove generazioni ma infondendo fiducia, raccontando che tante persone hanno resistito arrivando al giorno d’oggi credendo ancora nel cambiamento che può esserci in questa città”.
“Il sangue mai lavato” ha fatto molto rumore, ha detto il regista Luciano Toriello.
“Il docufilm di Luciano Toriello, scritto a quattro mani con Felice Sblendorio, è uno strumento importantissimo per fare rumore contro il silenzio, e anche per rendere la narrazione più vitale, meno edulcorata. Il passare del tempo ha reso anche la mia famiglia stanca di combattere contro il silenzio. Ci sarebbero state altre cose da raccontare ma quello era il tempo del film. Ci auguriamo che sia uno stimolo a conoscere l’intera faccenda per tutto quello che è”.
Emiliano ha detto “Riaprire il caso”. Sei fiduciosa?
“Conosco il governatore della Puglia da molti anni, una delle più grandi manifestazioni di Libera del 21 marzo è quella realizzata a Bari, credo nel 2008. Emiliano conosce la vicenda, ma quando ha terminato la visione ci ha detto di non sapere molte e ci ha ringraziato. Conoscere quanto accaduto, intendo, non solo in termini drammatici ma anche di reazione dei cittadini, di trasmissioni locali di approfondimento. Di fatto, in quel momento così difficile in cui rischiavamo di restare soli, un pezzo di cittadinanza ha saputo fare rumore. Circa la riapertura delle indagini, non so cosa pensare, mi sono illusa molte volte e preferisco non farlo più, voglio attendere. La cosa di cui ho fiducia è che questa storia possa essere conosciuta fuori dalla nostra città. Spesso mio padre viene ricordato fuori come impiegato del Catasto, del Comune, con tutto il rispetto. Ma senza dettagli o con dettagli sbagliati, senza che si capisca quello che davvero è accaduto e quello che la nostra città ha dovuto subire. Il caso Marcone è stato considerato “il caso Foggia”. Abbiamo continuato a credere, a lottare, non solo come famiglia ma con tanti cittadini, in particolare con Libera e con il coordinamento che è nato anni fa”.
Il libro “Storia di Franco” di Maria Marcone ha messo un punto fisso nella memoria di tuo padre. Credi abbia fatto da apripista?
“È stato molto importante per noi, in particolare quando ci siamo fatti più grandi. Lo ha pensato subito dopo la morte di papà e poi un altro piccolo libro, quello che definì lo psicodramma, “Processo alla città”, introvabile ma sicuramente presso la nostra biblioteca è possibile leggerlo. Io quando lessi il manoscritto mi arrabbiai un po’. Le dissi che avrebbe potuto raccontare le indagini che andavano a rilento, di quanto ci fosse bisogno di verità e di giustizia. Lei rispose: “Non preoccuparti, io ho raccontato la verità della vita di tuo padre”. All’epoca non capii, ma mi ci sono ritrovata da grande anche per ricucire me stessa, il mio essere, la persona che sono diventata e che, per tanto tempo, ha dovuto fare i conti con il dolore. Non sono uscita indenne dall’aver trovato mio padre riverso sulle scale, ho fatto i conti con questo shock e probabilmente è un percorso che sto ancora compiendo. Il libro mi ha permesso di risentire di nuovo la figura del padre, quella parte di vita che lei ha raccontato con amore e vigore. Importante il suo rivolgersi alle persone giovani e al killer, chiedendogli di mettersi una mano sulla coscienza. Zia ci ha lasciato un’eredità enorme, fatta di tante strade da poter seguire e a cui mi sono aggrappata. Della mia famiglia originaria siamo rimasti solo io e mio fratello, non c’è più nemmeno zia Maria. Il libro “Storia di Franco” è stato ripubblicato, ringrazio la casa editrice La Meridiana ed Elvira Zaccagnino per aver impedito a questo libro di cadere nell’oblio”.
L’antimafia sociale ha fatto una strada significativa a Foggia o no?
“Oggi ha bisogno di essere definita diversamente perché conosciamo l’addentellato sociale delle mafie, come si sono evolute a livello economico e territoriale. Ha fatto passi avanti per quanto riguarda la lettura della realtà, abbiamo la capacità di capire anche dove si è sviluppata nell’area grigia, che si sta chiarendo nella nostra città anche dalle indagini. Grazie al lavoro della magistratura, delle istituzioni, della prefettura, delle forze dell’ordine. Non dimentichiamo che più ci sono risposte e provvedimenti definitivi che agiscono negli effetti e più una comunità è sicura. Oggi abbiamo la necessità di guardare nella sostanza, non considerala solo un concetto. Il rischio è che ci si metta l’abitino e non si riesca a essere incisivi. C’è bisogno invece di efficacia. Lo dobbiamo a tuti noi, a Francesco Marcone che ha tanto amato questa terra e a tutte le vittime innocenti di mafia”.
Paola Lucino
Pubblicato il 29 Marzo 2025