Cultura e Spettacoli

Da briganti a sbirri: nessun guadagno per i Vardarelli

Tornato nel 1815 sul trono di Napoli dopo la parentesi ‘francese’, Ferdinando IV di Borbone dovette fronteggiare una situazione caotica. La maggiore minaccia era rappresentata dalle comitive brigantesche che imperversavano dalla Sicilia all’Abruzzo. Tra i maggiori criminali si distinguevano i fratelli Gaetano, Geremia e Giovanni Meomartino, nativi di Celenza Valfortore e detti ‘i Vardarelli’, poiché loro padre esercitava l’arte del ‘vardaro’, ovvero il fabbricante e riparatore di basti e selle. Intorno ai Vardarelli si era raccolta una banda di una cinquantina di uomini, addestrati militarmente e ben armati (vestivano anche un sorta di divisa). Forti della conoscenza dei luoghi e potendo fare affidamento su una vasta rete di conniventi e manutengoli, questi uomini avevano regolarmente la meglio sui reparti dell’esercito borbonico inviati a contrastarli. A Napoli allora si fece strada l’idea che l’unico modo per neutralizzare i Vardarelli fosse farne degli alleati (prezzolati) da utilizzare contro le bande meno temibili. In un secondo momento, quando avessero esaurito il loro compito, si sarebbe provveduto a liquidarli. Quel momento giunse il 9 aprile 1819. Il tranello, ordito dal generale Amato, si consumò in Piazza della Porta a Ururi, nel territorio di Campobasso. Dalle finestre di alcune case e dal palazzo vescovile al segnale convenuto cecchini aprirono il fuoco sulla banda che, raccolta al centro della piazza, stava per mettersi in marcia. Coi Vardarelli cadevano tre loro fedeli, mentre il resto della banda (48 briganti) si metteva in salvo. Decapitata, la banda era destinata a sgretolarsi, ugualmente il Governo non voleva lasciare in vita nessuno di quegli uomini. Ancora a Napoli giocarono d’astuzia fingendosi sdegnati per quella strage. Amato inviò un distaccamento per tranquillizzare i superstiti e invitarli a Foggia, dove essi avrebbero dovuto testimoniare contro i responsabili di quell’eccidio nel corso di un processo. Di quei quarantotto, nove non abboccarono. Giunti a Foggia in giorno di festa, i trentanove furono accolti con tutti gli onori e passati in rassegna da Amato. Poi Amato gettò a terra il suo cappello e, come a Ururi, fucili spuntarono da ogni finestra mettendosi a sparare. A quell’inferno sopravvissero solo diciassette briganti. Non ci fu pietà neanche per loro. Processati sommariamente, furono messi a morte l’indomani. Ebbe così sanguinosamente termine l’epopea dei Vardarelli che da briganti assursero a sbirri del Borbone nell’illusione di arricchirsi e rifarsi una facciata. Poveri ignoranti, pedine inconsapevoli di uno schema strategico vecchio quanto il mondo.

Italo Interesse


Pubblicato il 7 Settembre 2017

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