Cultura e Spettacoli

Bottega degli Apocrifi genera un rito collettivo più forte dell’isolamento

L’8 aprile è partito un laboratorio di scrittura ironica ai tempi del coronavirus, per provare a elaborare insieme, attraverso la scrittura, la quotidianità sospesa che tutti stiamo sperimentando, cercando di ritrovare la leggerezza che servirà a ricostruire il mondo quando l’emergenza sarà passata.Una sfida insolita e coraggiosa, messa in campo dalla compagnia Bottega degli Apocrifi, e raccolta da 48 partecipanti provenienti da tutta la Puglia e da Marche, Campania, Emilia Romagna, Lombardia, fino ad arrivare alla Svizzera e all’Inghilterra. Sei gruppi di lavoro misti, a dimostrazione che è possibile accorciare ogni distanza, allargare la comunità anche nella condizione di isolamento che stiamo vivendo. È questo il teatro ai tempi del Coronavirus?“ Ci è capitato di leggere spesso in giro #ilteatrononsiferma” dice Stefania Marrone – drammaturga della Bottega degli Apocrifi e guida di questo singolare laboratorio – eppure noi siamo una compagnia teatrale e da fine febbraio la tournée dei nostri spettacoli (come quella di tutti i nostri colleghi italiani e non) è stata annullata, i nostri laboratori sono stati annullati, la programmazione del teatro comunale che curiamo è stata annullata. Ci sentiamo di dire a tutti gli effetti che #ilteatrosièfermato”. Questo laboratorio non è il teatro, quindi, ma nasce grazie a esso: “sia perché a guidare la realizzazione dei testi è il principio dell’efficacia scenica – continua Stefania – sia perché alcuni dei partecipanti sono membri della “comunità teatrale” nata intorno agli Apocrifi in questi 15 anni a Manfredonia e che col laboratorio hanno trovato un luogo in cui tornare a confrontarsi, tra loro e con altre persone che hanno la stessa voglia di mettersi in discussione”. Il laboratorio ha generato un rito collettivo più forte dell’isolamento, un rito che fino al 30 aprile verrà amplificato, aprendo la stanza virtuale in cui il percorso si svolge a un pubblico d’eccezione: “ogni partecipante – racconta ancora Stefania – inviterà due persone ad assistere alla lettura dei testi finali, nati dalle paure di ognuno, che si è tentato di guardare con occhi diversi, quasi per farci pace.Non è teatro, ma del teatro conserva la ritualità, il confronto, il bisogno di essere insieme e pone con forza la domanda su quella che sarà la funzione del teatro e dei suoi lavoratori, con le loro molteplici competenze e i loro spazi, nell’attesissima e temutissima Fase 2”.


Pubblicato il 28 Aprile 2020

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