Cultura e Spettacoli

Bauxite di Puglia, alluminio d’Italia

Nel territorio di San Giovanni Rotondo, in località Quadrone, sono ancora i piedi i resti di grande un impianto industriale. Annunciata dal Regime (ma con molta esagerazione) come la più grande d’Europa, quella miniera di bauxite fu aperta dalla Montecatini nel 1937. A parte una breve interruzione imposta dalla guerra, nel corso della quale fu bombardata dagli Alleati, la miniera di San Giovanni Rotondo rimase attiva per meno di quarant’anni (chiuse i battenti nel 1937). Nel dopoguerra raggiunse l’apice dell’occupazione : settecento dipendenti, una forza lavoro capace di cavare dal sottosuolo sino a 170mila tonnellate di bauxite all’anno, materia prima che veniva trasportata coi camion sino a Manfredonia per essere spedita via nave a Marghera dove veniva sottoposta ai trattamenti necessari alla produzione dell’alluminio. Poi la sopravvenuta convenienza ad importare la bauxite dalla Francia e dalla Jugoslavia decretò la chiusura della miniera. E adesso di quei giorni restano i ruderi del villaggio dei minatori, della gru di frantumazione, dell’argano, delle torrette di sostegno ai ponteggi lignei (rappresentate nell’immagine) e della torre dell’ascensore. Quest’ultima  scendeva sino a duecento metri di profondità e dava accesso a tre livelli dai quali si poteva risalire anche per mezzo di scale e di discenderie, cioè gallerie inclinate. La mancata copertura di queste discese fu responsabile di ripetute inondazioni, durante le quali non pochi minatori perirono ; l’allagamento causato dal nubifragio della notte del 27 luglio 1951 fece tre vittime. Complessivamente, in trentasei anni di attività, morirono 27 persone nel sottosuolo di Quadrone ; i nomi dei minatori periti sono scolpiti su una lapide vicino la chiesa di Sant’Onofrio a San Giovanni Rotondo. Un bilancio che avrebbe potuto essere anche più grave, considerate le pessime condizioni di lavoro (venivano ingaggiati anche i giovanissimi, purché di forte costituzione, con la prospettiva dell’esenzione dal servizio militare). Giuseppe Di Vittorio, il grande sindacalista pugliese, lottò per rendere la vita di quei lavoratori più sicura. Ma la sua azione, a differenza di quella condotta in favore dei braccianti, ottenne scarsissimi risultati infrangendosi contro un muro sollevato dagli stessi minatori e dalle loro famiglie “di cui sono il motore, le quali solo così possono mandare i figli a scuola ed avere quel tanto di sicurezza economica che permette loro la continuità e la sopravvivenza fisica”. A conferma della parole di Di Vittorio si ricordano gli scioperi e le proteste della popolazione sangiovannese all’annuncio della chiusura della miniera.

Italo Interesse


Pubblicato il 30 Aprile 2015

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